A colloquio con Gabriele Maestri, autore del nuovo podcast “Scudo (in)crociato”, dove si intrecciano storie, analisi e curiosità sul simbolo forse più emblematico della storia politica italiana. Quindici puntate ripercorrono gli ultimi anni della DC dal 1991 ad oggi
Libri, articoli, saggi, servizi tv, film cult. Sulla storia della Democrazia Cristiana e del suo simbolo più rappresentativo, lo scudo crociato, è stato scritto e visto di tutto. Ma un podcast che raccontasse l’anima e i momenti cruciali nella fase conclusiva della Balena Bianca (e anche dopo la sua fine) ancora non esisteva. Almeno fino ad oggi.
“11 marzo 1995. Roma. Consiglio Nazionale del nuovo Partito Popolare Italiano all’Ergife. Qualche settimana fa ascoltavo le registrazioni degli interventi di alcuni membri storici del partito conservate nell’archivio di Radio Radicale. Il clima era a dir poco teso, dopo che il neosegretario Buttiglione aveva concluso l’alleanza con il centrodestra, sebbene gli organi interni fossero contrari a qualsiasi accordo con Alleanza Nazionale e Rifondazione Comunista. Dopo aver ascoltato le urla di quella riunione mi sono chiesto: perché non cercare altre testimonianze simili e farne un podcast?”.
A parlare è Gabriele Maestri, amministratore del sito “I simboli della discordia” (una vera enciclopedia del simbolismo partitico italiano), e ideatore del nuovo podcast “Scudo (in)crociato”, disponibile sulle principali piattaforme digitali, che ripercorre gli ultimi trent’anni di politica democristiana. Dalla fine della DC, alla nascita del PPI fino alle diatribe legali dell’ultimo decennio relative all’utilizzo del simbolo, 15 puntate che scandaglieranno le fasi di progressiva disgregazione del partito grazie ai preziosi audio dell’archivio di Radio Radicale.
“Lo scudo crociato è stato sicuramente uno dei simboli più forti e amati nella storia politica italiana, non solo perché rappresentava il partito che raccoglieva il maggior numero di consensi, ma perchè al suo interno racchiudeva tante storie”, spiega Maestri. “Innanzitutto rappresentava i valori della cultura cristiana, con la croce rossa su sfondo bianco che richiamava gli scudi dei cavalieri crociati o comunque un senso di militanza. Ma anche l’esperienza storica di numerosi Comuni: ancora oggi realtà importanti come Milano e Genova riportano nel loro stemma, quella stessa croce. Nel secondo Dopoguerra lo scudo crociato ha poi simboleggiato per molti la difesa dei valori cristiani contro il pericolo comunista”.

Una storia emblematica, che è continuata anche dopo la fine dell’esperienza democristiana a seguito degli eventi conclusivi della Prima Repubblica, quando la Caduta del muro di Berlino, le inchieste di Tangentopoli e il nuovo corso maggioritario hanno messo in crisi il tradizionale sistema politico.
“Nei primi anni ’90, la fine del pericolo comunista aveva fatto venire meno l’esigenza di un partito di tradizione e di difesa contro gli estremismi come la DC. La nuova legge elettorale, in cui prevaleva il sistema maggioritario, incoraggiava inoltre una competizione per poli in cui difficilmente poteva trovare spazio una logica centrista. Un contesto che ha dunque favorito la disgregazione della DC (già colpita a fondo dalle inchieste sulla corruzione) in mille rivoli e la diaspora dei suoi membri, fino alle ultime elezioni politiche, in cui l’unica lista che aveva come simbolo lo scudo ha preso meno dell’1%”.
Ad oggi, la galassia dei partiti di ispirazione democristiana presenti in Parlamento si è ridotta notevolmente, con l’UDC, attualmente unica forza che utilizza il logo originario, rappresentato da soli due parlamentari (gli onorevoli Lorenzo Cesa e Antonio De Poli). Altri cattolici provenienti dal PPI e dalla Margherita sono oggi nel PD o tra le fila dell’attuale centrodestra (tra loro c’è Gianfranco Rotondi, leader di Verde è Popolare e membro del gruppo di Fratelli d’Italia, che continua a professarsi democristiano). Fuori dal Parlamento si sono susseguiti nel tempo tentativi di rimettere in piedi la DC a forza di carte bollate e iniziative legali che interessano solo i veri appassionati. “Oggi i simboli in politica hanno un ruolo diverso rispetto al passato. Le nuove generazioni di votanti nate negli anni ’90 e 2000 non hanno vissuto l’epoca della Prima Repubblica e il loro voto è spesso più volatile e meno ideologico”.
Conclusa l’esperienza del podcast sullo scudo crociato, non possiamo non domandare a Gabriele Maestri se e quando sarà pronto un lavoro analogo sull’altro grande simbolo del ‘900: la falce e il martello.
“Prima o poi dovrò farlo [ride]. Sarebbe interessante creare un prodotto più ampio che comprenda anche video storici. Farei comunque il possibile per metterci la stessa passione che mi anima sin da quando nel 2012 ho fondato il sito. Ricordo ancora che mi domandavo se quello che scrivevo sui simboli dei partiti sarebbe mai interessato a qualcuno. Beh, dopo 11 anni è bello avere scoperto di essere meno solo in questa passione così particolare”.
L’intervista rientra nella sezione “Dialoghi sulla comunicazione”. Clicca qui per le altre interviste e approfondimenti sul tema.
Founder e Creator di Polinside. Appassionato, affamato di politica e di tutto ciò che ricorda la Prima Repubblica.
Master in “Relazioni istituzionali, Lobby e Corporate Communication” alla Luiss Business School, mi occupo di corporate communication in Community.
Nel tempo libero pratico Crossfit, cucino l’Amatriciana e sogno il compromesso storico.