"Simone Pieranni"

“Questo è il secolo asiatico” – Intervista a Simone Pieranni

Dalle tigri asiatiche degli anni ’90 allo strapotere di Cina e India (ma non solo) di oggi. Un colloquio aperto sui nuovi equilibri geopolitici che vedono il centro del mondo spostarsi sempre più verso Oriente

Un dato su tutti. Secondo il WIPO (World Intellectual Property Organization, l’agenzia specializzata dell’ONU che si occupa di proprietà intellettuale), nel 2021 il 63,9% dei brevetti sono stati concessi a Paesi del continente asiatico (il Nord America segue a distanza al 19,9%). Tre dei primi quattro Paesi per numero di brevetti ottenuti, quasi i tre quarti del totale, sono asiatici (Cina, Giappone e Corea del Sud). Ah, il Direttore Generale del WIPO è Daren Tang (Singapore).

Ormai non ci stupiamo più se sentiamo dire che il secolo che stiamo vivendo è dominato dalle potenze asiatiche. Ma perché? Quali sono le dinamiche che hanno portato alla ribalta l’area in cui abita oltre il 60% della popolazione mondiale? Qual è il settore che più di tutti sta contribuendo ad una crescita senza precedenti?

Ne parliamo con Simone Pieranni, giornalista, saggista, autore del podcast di successo edito da Chora Media “Altri Orienti”, ed esperto di politica cinese e asiatica. Il 20 ottobre uscirà il suo nuovo libro “Tecnocina” (add Editore), che dà già l’idea di quale sia la risposta all’ultima domanda che ci siamo posti giusto qualche riga sopra…

L’India che con il suo modulo Vikram atterra sulla Luna, la Cina che con Huawei elabora il nuovo chip Kirin 9000s, dotato di un processore che consente velocità di download superiori agli smartphone 5G. Come hanno fatto i due Paesi ad avere una tale crescita nell’hi-tech?

L’India ha sempre avuto una propensione allo sviluppo tecnologico con manager e programmatori apprezzati da tempo in tutto il mondo. Il programma spaziale ha visto una forte espansione soprattutto in questo decennio di governo Modi, anche per ragioni di propaganda politica.

In Cina la tecnologia è sempre stato uno dei settori cardine e con Deng Xiaoping è diventata il fulcro delle cosiddette “Quattro modernizzazioni”. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad ingenti investimenti in ricerca e sviluppo e al ritorno di giovani formati all’estero. La crescita economica ha infine permesso a numerose aziende di trasferire in Cina fasce più alte della produzione tecnologica con conseguente aumento del know-how.


Come si inseriscono gli Usa nel nuovo protagonismo dei Paesi asiatici a livello geopolitico? Si potrebbe consolidare la situazione con “blocchi” filo-occidentali (Giappone e Corea del Sud), Stati non allineati (India) e potenze rivali degli Usa (Cina)?

Oltre ai blocchi di cui parli, che riguardano le grandi potenze, ci sono tanti altri Paesi come Vietnam, Thailandia e Indonesia che vogliono continuare a essere autonomi e a commerciare sia con la Cina che con gli Usa. Anche all’interno dei blocchi, poi, ci sono diverse sfumature come tra Corea del Sud e Giappone che al momento stanno vivendo un rapporto non facile a seguito dello sversamento in mare delle acque dopo il disastro di Fukushima. L’India ha poi assunto un ruolo di superpotenza nell’area rivendicando la sua posizione “non allineata”.


Quanto inciderà il tasso di natalità sul progresso e sulla propensione al futuro nei singoli Stati, anche in confronto con il basso tasso dei Paesi europei?

Per la Cina mancherà ben presto la manodopera e la spinta all’automazione sarà ancora più forte, mentre nel Sud-Est asiatico l’età media è oggi di 25 anni con Paesi che stanno progredendo velocemente sul fronte tecnologico ed economico. Oltre alle superpotenze Cina e India, oggi troviamo tanti altri Stati in rampa di lancio tra cui Thailandia e Filippine, senza dimenticare l’Indonesia e Singapore. Ben presto la competizione sarà altissima, per questo quello che stiamo vivendo può definirsi il “Secolo asiatico”, in cui l’Europa occuperà un ruolo sempre più marginale.


Quanto incide la forma di Stato e la diffusione dei processi democratici sulla crescita di un Paese? La centralizzazione del potere può favorire uno sviluppo più rapido e deciso dell’economia?

È chiaro che negli Stati dove c’è una struttura di potere centralizzato le decisioni vengono prese con maggiore velocità poiché non esiste un confronto con altre istituzioni come avviene nei Paesi democratici. In Cina ad una rapida crescita del PIL è effettivamente corrisposto un aumento dei redditi medi, ma non credo all’equazione centralizzazione = ricchezza perché in tanti altri casi, come in Unione Sovietica, ciò non si è verificato. Ad ogni modo, preferisco vivere in uno Stato democratico anche perché la ricchezza economica non è l’unica componente per valutare la qualità della vita.


Il G20 si è chiuso con la firma del MOU per il “Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa”, già ribattezzato ‘Nuova via del cotone’, che propone una rete di ferrovie, porti e collegamenti energetici tra le tre aree e alternativi alla “Via della Seta”. Quali saranno le ricadute sui progetti di espansione cinese?

L’”India-Middle East-Europe economic corridor” (IMEC) è un progetto che, al momento, ha un valore principalmente mediatico anche per i diversi limiti già imposti dagli Stati partecipanti. Il piano, inoltre, prevede collegamenti su territori a tratti inospitali e già serviti da rotte sicure come per il passaggio dalla penisola mediorientale al Mar Mediterraneo che oggi è già possibile dal canale di Suez.

Il messaggio anticinese è comunque chiaro, con gli Stati Uniti che cercano di rendere più complessi i rapporti tra la Repubblica Popolare e gli Stati coinvolti. È il caso dell’Arabia Saudita, che intende mantenere il piede in due staffe o di Israele che negli ultimi anni ha investito molto nel Dragone. Staremo a vedere quali effetti avrà questo progetto sia a livello economico ma soprattutto politico.

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