Centrosinistra

5. I fallimenti del centrosinistra negli anni ’60

Dopo aver illustrato nel capitolo precedente i successi e le novità del centrosinistra dei primi anni ’60, oggi ci concentreremo sugli aspetti problematici e sui grandi problemi irrisolti di quel decisivo periodo storico.
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Le promesse non mantenute

Nel precedente capitolo è stato dato spazio alle innovazioni positive del primo periodo dei governi di centrosinistra. Tuttavia, a partire dal 1963 vengono progressivamente accantonati numerosi progetti di intervento che rendono meno esaltante il giudizio sull’operato dei governi di centrosinistra. Provvedimenti che possono essere ricondotti a tre grandi aree tematiche.

1. Programmazione economica

Innanzitutto la politica di programmazione economica, cioè la predisposizione di un piano per l’organizzazione dello sviluppo agricolo, industriale e dei servizi di lunga durata che favorisse un’omogeneità e un’organicità degli investimenti nel settore pubblico e privato. Tale obiettivo, cavallo di battaglia della politica riformista del Psi e del primo centrosinistra, venne proposto, sotto diverse forme, da tre ministri del Bilancio in carica sotto i governi di centrosinistra.

Nel 1962 la “Nota aggiuntiva” di Ugo La Malfa, che individuava i successi del boom e i necessari interventi per correggere gli squilibri creatisi tra Nord industriale e Sud agricolo.

Nel 1964 il Progetto di programmazione e di sviluppo economico 1965 – 1969, patrocinato da Giolitti, di cui l’intervento più importante risiedeva nel controllo dei piani d’investimento delle grandi aziende private da parte degli organi di programmazione pubblici. Le decisioni delle imprese pubbliche dovevano invece essere conformi agli obiettivi dei programmi governativi. Insomma politiche di stampo keynesiano per il controllo statale dell’economia.

Infine il Programma di sviluppo 1965-1969 presentato da Giovanni Pieraccini e che, approvato solo nel 1967, avrebbe visto il ridimensionamento degli obiettivi iniziali di controllo statale degli investimenti.

La nascita del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) nel ’67, non sarebbe stata sufficiente a riaccendere gli entusiasmi per la programmazione economica, che quindi non si sarebbe mai realizzata appieno.

La causa principale del fallimento di tali visioni di lungo raggio si può individuare nel mancato appoggio al progetto da parte di un’ampia fetta dell’apparato governativo e istituzionale dell’epoca. In particolare si fa riferimento al ministro del Tesoro Emilio Colombo, al capo dello Stato Antonio Segni e al governatore della Banca d’Italia Guido Carli, che sostenevano una politica economica di stampo liberista.

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La Malfa e Moro in una foto dell’epoca. Fonte: Direzione Generale Biblioteche ed Istituti culturali

2. Urbanistica e speculazione edilizia

Il secondo settore su cui vennero ridimensionate le speranze di cambiamento del centrosinistra fu quello dell’urbanistica.

Il “Progetto Sullo” (dal nome del ministro dei Lavori Pubblici nel 1962), prevedeva, previo indennizzo, la possibilità di espropriazione di quei terreni non conformi ai piani urbanistici. Sulla base di un piano regolatore, i Comuni avrebbero successivamente riassegnato il diritto di costruzione su quelle aree attraverso un’asta pubblica. Tramite la creazione di un sistema gerarchico di piani urbanistici si intendeva dunque decentrare alcuni poteri in materia edilizia, fermo restando il controllo delle amministrazioni regionali (sebbene ancora da istituire) e centrali.

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Esempio di speculazione edilizia ad Agrigento. Fonte: Storia e futuro

Una proposta di tal genere era molto coraggiosa perché cercava realmente di affrontare un problema serio, come quello della speculazione edilizia, attraverso la collaborazione di tutti gli enti dello Stato. Purtroppo, però, la volontà di Sullo si scontrò con la contrarietà di una parte dell’opinione pubblica piccola e medio borghese (spaventata dalla possibilità di perdere la casa), e del suo stesso partito, la Dc, con il segretario Moro che bocciò l’iniziativa e ne decretò il suo fallimento.

L’intreccio degli interessi tra imprenditori dell’edilizia, politici locali e nazionali fu anche l’oggetto del capolavoro di Francesco Rosi “Le mani sulla città“, in cui fu rappresentata in maniera encomiabile la situazione di drammatica corruzione che si celava dietro la costruzione di nuovi quartieri e palazzi nella Napoli dei primi anni 60′.

Qualche anno dopo un altro tentativo di riforma del settore, la proposta di legge urbanistica di Pieraccini, non avrebbe trovato ugualmente sbocco.

Come spesso accade furono alcuni eventi tragici a sbloccare la situazione. Il crollo di palazzi abusivi ad Agrigento e le alluvioni a Firenze e Venezia furono lo stimolo per l’approvazione della “legge ponte” del 1967, che prevedeva alcune limitazioni di costruzione e fissava le quantità minime di spazio che ogni piano doveva riservare ad uso pubblico. La nuova disciplina sarebbe però entrata in vigore solo l’anno successivo, permettendo così agli speculatori di presentare numerose richieste di licenza edilizia prima dell’abolizione della vecchia normativa.

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Una prima pagina del Corriere della Sera dell’epoca. Fonte: ICharta

3. Istituzione delle Regioni

L’ultima grande riforma annunciata e non attuata fu quella relativa all’istituzione delle Regioni. Su questo tema Moro si era esposto molto in occasione del suo primo governo di centrosinistra del 1963, ritenendolo un “obiettivo primario”. La Costituzione, infatti, all’articolo 114, definiva le Regioni come “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni”, la cui nascita dipendeva, però, da leggi e decreti attuativi che avrebbe dovuto emanare il Governo.

Tuttavia, tale processo avrebbe visto la conclusione solo nel decennio successivo, con le prime elezioni dei consigli regionali svoltesi nel 1970.

La cause politiche del fallimento del centrosinistra

Come descritto nei paragrafi precedenti, i buoni prospetti di riforma del primo centrosinistra vennero progressivamente rimodulati con compromessi al ribasso, fino a perdere quel carattere di cambiamento di cui si parlava all’inizio degli anni ’60.

L’immobilismo imputato a Moro, che lo portava a contrattare continuamente cercando sempre l’equilibrio tra le parti politiche in gioco, dipendeva da numerosi fattori di varia natura.

Un primo stop al piano di riforme fu intimato dalla stessa popolazione italiana in occasione delle elezioni politiche del 1963. Se il Psi perdeva meno di un punto percentuale rispetto alla tornata precedente, la Dc subiva un tracollo del 4% andando sotto il dato simbolico del 40%. A beneficiarne era quel partito liberale che tanto si era opposto alle politiche di nazionalizzazione dell’industria elettrica e ai governi di centrosinistra.

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I risultati delle elezioni politiche del 1963 (Camera dei deputati). Fonte: dellarepubblica.it

Insomma l’elettorato, che aveva favorito quelle forze ostili al cambiamento, si dimostrò restio a concedere il via libera ad un processo serio di riforma che, tra l’altro, avrebbe potuto intaccare non pochi privilegi della media borghesia conservatrice (come nel caso del tentativo di legge urbanistica).

D’altra parte lo stesso Moro era consapevole che per mantenere l’equilibrio interno al suo partito non poteva spingersi troppo in là, e doveva dare ascolto alla corrente di maggioranza dei dorotei, da sempre contraria alle politiche di programmazione economica e in generale al processo di trasformazione dello Stato.

Secondo quest’ottica deve essere inquadrata l’elezione di Antonio Segni a Presidente della Repubblica nel 1962. Segni, preoccupato di una possibile deriva a sinistra del governo, si rese poi protagonista, insieme al generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo, dell’ideazione del cosiddetto “piano Solo”, che avrebbe previsto l’incarcerazione di membri comunisti, socialisti e sindacalisti e l’occupazione da parte dell’arma dei Carabinieri di televisioni, prefetture e istituzioni. Un vero e proprio tentativo di colpo di stato di stampo conservatore che non si realizzò, ma che creò scandalo e fu oggetto di inchiesta parlamentare negli anni successivi.

Alle resistenze interne alla Dc si univano le difficoltà in cui versava il Partito Socialista. A seguito del risultato elettorale, Nenni riuscì a imporre la propria linea di partecipazione all’esecutivo di centrosinistra. Il nuovo programma di governo (con obiettivi molto più modesti rispetto al periodo precedente), portò però l’ala radicale del partito, rappresentata da più di un terzo dei neoeletti in Parlamento, ad uscire dall’organizzazione e a rifondare il PSIUP (Partito Socialista di Unità Proletaria). La nuova formazione di opposizione, oltre a diminuire il peso politico dei socialisti, si dimostrava un concorrente insidioso anche per i comunisti.

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I loghi dei partiti di ispirazione socialista negli anni ’60 e ’70.                     Fonte loghi: elezionistorico.interno.gov.it

La scissione avrebbe portato Psi e Psdi ad intensificare i contatti per la riunificazione dell’area socialista moderata, che si sarebbe realizzata pienamente nel 1966 con la nascita del PSU (Partito Socialista Unificato). Le forti differenze di valori all’interno della nuova formazione e lo scarso convincimento degli elettori avrebbero però sancito il fallimento di questa soluzione alle elezioni del ’68, e la sua definitiva dissoluzione già l’anno successivo.

Nel frattempo il Pci viveva un periodo di transizione e di mutamento ideologico e strutturale. La morte di Togliatti nel ’64 aveva evidenziato una divisione tra due aree del partito. La corrente fedele a Ingrao mirava ad un rinnovamento profondo del sistema politico che comprendesse la partecipazione di giovani e operai, i nuovi protagonisti dei movimenti di ribellione di quegli anni. Contrapposta a questa visione era l’area vicina a Giorgio Amendola, che prospettava una maggiore intraprendenza del Pci in ambito parlamentare attraverso il recupero del rapporto con il Psi e la creazione di un’area socialdemocratica ed europeista che potesse competere con la Dc.

Scossa da tali pulsioni la sinistra stava cambiando e si stava riorganizzando anche al di fuori dei partiti tradizionali. Nascevano movimenti maoisti, leninisti ed extraparlamentari che avrebbero avuto un ruolo fondamentale nelle lotte del ’68 e nella successiva strategia della tensione. Temi che affronteremo nel prossimo capito della nostra “Storia politica della prima Repubblica”.

Continua…

Immagini in evidenza: Citazioni e frasi celebri, Coordinamento Salviamo il Paesaggio Roma, Wikipedia

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