Da Tel Aviv a Gerusalemme: una nuova intifada?

Per il Medio Oriente si sta aprendo l’ennesimo ed incerto scenario geopolitico, forse una nova intifada. Il Presidente Trump ha dichiarato il trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme. Questo principalmente significa che l’amministrazione di Washington è favorevole al riconoscimento dello status di Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele. Le conseguenze non si sono fatte attendere, in tutti i paesi arabi sono susseguite ondate di protesta contro questa presa di posizione. Le bandiere americane hanno ricominciato a bruciare e lo spettro dellintifada riappare più forte che mai.

Secondo fonti della mezzaluna rossa il bilancio dei feriti degli scontri che stanno avvenendo in queste ore è molto alto. Si parla di quasi un migliaio di feriti provocati da contusioni dei proiettili di gomma e intossicazioni dovute all’uso di gas. Una sola dichiarazione ha innescato questi drammatici eventi che alimentano il senso di frustrazione della popolazione araba nei confronti di uno Stato dalle dimensioni ridotte fornito di una forza militare tra le più superbe al mondo. Trump ha espressamente fatto una inversione di rotta rispetto alla passata amministrazione, la quale fin dal suo inizio ha sempre mantenuto delle relazioni fredde con Tel Aviv e in particolar modo con la figura e l’ufficio dell’attuale presidente Netanyahu.

Ricordiamo che una delle prime telefonate ufficiali da presidente fatta da Obama fu proprio verso Maḥmūd ʿAbbās conosciuto con la kunya Abū Māzen, Presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, dell’Autorità Nazionale Palestinese, e dello Stato di Palestina. Poco tempo dopo venne pubblicato un report internazionale sulle relazioni tra Israele e Palestina dall’allora Senatore George Mitchell, inviato speciale per il Medio Oriente. Il report raccomandava caldamente di bloccare gli insediamenti coloniali degli israeliani sui territori palestinesi. Ma oltre le dichiarazioni politiche poco è stato fatto, soprattutto da parte del gabinetto degli esteri di Washington durante Obama, che di certo si può elogiare il modo con cui ha affrontato varie problematiche interne come l’Obamacare e la tutela delle minoranze. Nella sfera estera, per il Medio Oriente, la conduzione politica di Obama ha fatto acqua da tutte le parti. La primavera araba e la sua pessima gestione dovuta ad una formale non ingerenza degli USA ha comportato l’esportazione del fallimentare modello iracheno e afghano sulle sponde del Mediterraneo.

Gli Stati Uniti hanno lasciato un vuoto, fatto di guerre civili, tribali, terroristiche e religiose con Israele, il quale è mezzo. Appare più che logico che il partito nazionalista di Netanyahu abbia riscosso numerosi successi in ambito elettorale grazie ad una politica basata sulla paura e sul negazionismo di concessioni verso la Palestina. Sembra che la partita sia in favore di Tel-Aviv, la quale auspica che dopo gli Stati Uniti, altri paesi prenderanno la stessa decisione, consolidando così l’idea di Gerusalemme capitale dello stato ebraico. I conti sono stati fatti in malo modo evidentemente, l’Europa tramite il proprio Alto Rappresentante per la Politica Estera Federica Mogherini, ha dichiarato che nessun paese appartenente all’Unione Europea si adeguerà alla politica di Donald Trump.

Israele deve concepire l’idea che la colonizzazione dei territori palestinesi è una vera e propria ingerenza extra territoriale e deve rispettare i confini pattuiti nel 1967. Una dichiarazione decisamente importante. Sembra che l’Europa stia finalmente affrontando compatta una tematica chiave, come lo è la Palestina, tanto che potremmo supporre che vista la crescente rivalità tra la Russia e Washington nello scenario geopolitico, Bruxelles si potrebbe proporre come un arbitro imparziale e di spessore, in grado di contribuire positivamente a ultimare il decennale processo di pace. Non dobbiamo sottovalutare il fatto che Netanyahu, andando nella capitale europea ha voluto esplicitamente lasciar trasparire che è pronto a intavolare trattative con l’Europa, questo perché è stato il primo capo di Stato israeliano in visita ufficiale nella capitale belga da ventidue anni a questa parte. Casualmente quest’anno ricorre il centenario dalla famosa dichiarazione di Balfour. Il 2 novembre 1917, l’allora ministro degli esteri dell’Impero Britannico, Arthur Balfour, spedì una missiva ad Lionel Walter Rothschild, in cui manifestava il gradimento di Sua Maestà e del gabinetto inglese all’instaurazione di una comunità ebraica in Palestina.

Questa manifestazione di volontà nasce ufficialmente un anno prima, nel 1916, quando venne siglato l’accordo Skyes-Picot, un trattato segreto tra Francia e Gran Bretagna, le quali in previsione dell’imminente caduta dell’Impero Ottomano, si sono spartire le varie zone d’influenza in Medio Oriente. Queste aree, una volta fondata la Società delle Nazioni, sono state concesse a l’asse franco-britannica sotto la luce di mandato fiduciario e tramite il trattato di pace di Sèvres. Decisamente sappiamo quello che la storia ci ha presentato: il dramma dell’olocausto, la fondazione d’Israele nel 1948, le guerre arabo-israeliane e le intifade. Dopo cento anni il problema resta più pressante che mai, ma una domanda sorge spontanea, come era possibile che durante l’amministrazione Ottomana, non vi siano stati problematiche sociali, come quelle che hanno vissuto i nostri padri e che noi stiamo vivendo.

Una cosa è certa, riconosciuta a livello universale dagli studiosi. La Sublime porta, per governare un impero di tale estensioni doveva attuare una tolleranza sociale e religiosa a 360°.  Solamente quando il grande malato d’oriente, iniziò ha mostrare i primi sintomi di cedimento, le potenze coloniali si sono interessate, ma come ben sappiamo la gestione è stata disastrosa e ne vediamo tutti i giorni sulle principali testate giornalistiche le conseguenze. La speranza che ci rimane e che ribadisco con fermezza, è che l’Europa deve inserirsi come interlocutore nel vuoto politico lasciato in Medio Oriente da Obama. L’alternativa fa solo tremare al pensiero, un asse Arabia Saudita-Israele-USA in funzione anti iraniana e capeggiata da politica irresponsabile ma che è stata eletta alla carica più importante del pianeta.

Credits copertina: “3rd intifada with flowers?” by jonas_k 

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