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Ci sono o c’erano una volta le fake news? – L’antica Grecia


Il “virus” delle fake news

L’espressione inglese fake news, traducibile in italiano con notizie false, è impiegata per definire una vasta gamma di contenuti ingannevoli, inequivocabilmente falsi, ma ugualmente capaci di creare divisioni e contrapposizioni, perché in grado di agire sui sentimenti elementari e immediati dell’uomo, come la paura, l’odio, l’interesse e la prepotenza.

Il Collins Dictionary l’ha definita come l’espressione del 2017, dopo che a livello mondiale se ne è iniziato a parlare sistematicamente dal 9 novembre dell’anno precedente, giorno dell’elezione di Trump che ha utilizzato, poi, il termine per attaccare la stampa.

In Europa l’attenzione è stata posta in seguito alla presentazione, alla discussione e all’approvazione nell’aprile 2017 della legge tedesca anti-notizie false e anti-hate speech online, mentre in Italia il dibattito è, inevitabilmente, in continua crescita, visto il clima di campagna elettorale che stiamo vivendo per le prossime elezioni politiche.

Il “virus” delle fake news attecchisce evidentemente sul malessere collettivo e si propaga velocemente in questo nostro momento storico, soprattutto grazie ai grandi colossi della rete che favoriscono una maggiore ricerca e diffusione delle informazioni.

Ma se le piattaforme digitali, fra tutti Facebook, Twitter e Google, per la rapidità della loro comunicazione, che consente una fulminea circolazione delle fake news, sono i principali imputati dell’esplosione e amplificazione del fenomeno, il tema dello spargere notizie false è proprio di tutte le epoche. Se ne possono rintracciare esempi anche nel mondo greco e romano, in cui a legarli è il filo rosso di una situazione di malcontento generale, come la guerra, che apre la strada al prevalere delle pulsioni umane.

La fake-lettera: Pausania e Temistocle

Si legge in Tucidide (Le Storie, 1.128.7):

Pausania, capo di Sparta, volendo farti un favore ti rimanda questi uomini che ha catturato in guerra: e mi propongo, se anche tu sei d’accordo, di sposare tua figlia e di rendere soggetta a te Sparta e il resto della Grecia. Se dunque qualcuna di queste proposte è di tuo gradimento, invia alla costa un uomo di fiducia, tramite il quale condurremo le nostre trattative”.

(traduzione di Guido Donini).

Questa lettera trascritta dallo storico sarebbe la sconcertante prova del tradimento nei confronti dei Greci di Pausania, reggente spartano e artefice, insieme a Temistocle, della clamorosa vittoria dei Greci a Platea (479 a.C.) contro il solido esercito persiano comandato dal re Serse.

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Carta del mondo greco. Fonte: Bejor Giorgio, Marina Castoldi, Claudia Lambrugo, Arte greca, Milano 2008.

L’inverosimile documento, in cui il vincitore chiede al vinto un’alleanza matrimoniale in cambio della sottomissione di Sparta e di tutta la Grecia, insieme alla risposta favorevole del Gran Re, anche essa riportata da Tucidide, furono l’arma perfetta per il processo con l’accusa di alto tradimento. Ma se la lettera di Serse può essere autentica, e indicare una disponibilità a trovare accordi, l’altra fu fabbricata appositamente dagli efori, le più alte cariche magistratuali spartane.

Il Motivo? Sbarazzarsi, non solo politicamente, ma anche fisicamente di Pausania, che avrebbe voluto promuovere a Sparta un radicale cambiamento politico, una volta rientrato da Bisanzio. Secondo, tuttavia, il principio erodoteo per il quale è più facile ingannare una massa che uno solo, Pausania fu condannato a morte, una delle più atroci: venne murato vivo nel tempio di Atena Calcieco, dove si era rifugiato e morì di fame.

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Statuetta di Atene, riproduzione dell’Atena Parthenos, da Atene, ginnasio del Varvakeion. Atene, Museo Archeologico Nazionale. Fonte: Pinterest

Ma, come se non fosse abbastanza, prosegue Tucidide (Le Storie, 135.1-3) gli Spartani accusarono anche Temistocle di essere in combutta con Pausania, in seguito al ritrovamento di lettere e documenti impiegati nel processo che, chiaramente, alimentarono i sospetti sul generale ateniese. Gli Ateniesi si lasciarono persuadere e convincere, così inviarono degli uomini insieme agli Spartani, che pretendevano una punizione analoga a quella inflitta a Pausania, con il preciso compito di catturarlo ad Argo, città greca nella quale si trovava in seguito ad una condanna all’esilio da parte dell’assemblea popolare ateniese, o ovunque fosse.

Secondo Plutarco (Vita di Temistocle, 23.1-6) fu l’ateniese Leobote a presentare l’accusa di tradimento contro Temistocle, con il sostegno degli Spartani e il vero motivo è, ovviamente, la liquidazione politica del generale ateniese da parte degli avversari politici, poiché riteneva possibile una politica di pace o di accordi con la Persia. A nulla valse il tentativo di difendersi e, di fronte alla richiesta da parte di Ateniesi e Spartani dell’estradizione, cercò una via di scampo nella fuga.

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Temistocle, copia 460 a.C. circa, Ostia. Fonte: Wikimedia Commons

Gli aneddoti rispetto a questa rocambolesca fuga abbondano, ma sicuramente sappiamo che riuscì a rifugiarsi in Asia alla corte di Artaserse I da poco salito al trono. Il proseguimento della sua vita è un’altra storia.

Pericle, ma  chi frequenti?

Le notizie false spesso possono colpire indirettamente, come nel caso di Pericle, uno dei personaggi più significativi della storia politica ateniese al punto tale che, la moderna storiografia definisce con il suo nome il periodo che va dal 460 al 429 a.C., in cui fu ininterrottamente stratego della città. Ebbe meriti grandissimi, ma anche la responsabilità di aver avviato e perseguito con tenace ostinazione la guerra fratricida contro Sparta.

Nel 432 a.C., l’anno prima dello scoppio della guerra del Peloponneso, vi furono una serie di processi che colpirono le persone a lui vicine, risultato di quella παρρησία (parresìa) ateniese, che non era semplicemente la libertà di dire tutto, ma quell’eccessiva, quasi sfrenata e incontrollabile libertà di parola per la quale a tutti era lecito affermare tutto.

Inutile a dirlo, l’obiettivo di questa incontrollata inclinazione a parlare era danneggiare politicamente Pericle. La commedia attica aveva la capacità di registrare gli umori della città, facendosene portavoce, e forti erano gli attacchi personali nei confronti di Aspasia, la compagnia di Pericle, riportati da Plutarco (Vita di Pericle, 24.9-10):

Nelle commedie la chiamano la nuova Onfale, o Deinira o Era. Cratino invece l’ha definita decisamente cortigiana in questi versi: e la dissolutezza gli genera Era-Aspasia, la concubina dagli occhi di cagna. Sembra che da lei Pericle abbia avuto un figlio illegittimo: Eupoli nei ‹‹Demi›› fa dire a Pericle: vive il mio bastardo?, e Mironide risponde: sarebbe uomo da tempo, se non fosse che freme per i costumi di sua madre, una ‹‹buona donna››.

(traduzione di Domenico Magnino).

Anche il decreto promulgato da Pericle, con il quale la città di Megara era esclusa dal commercio con Atene, che fu la causa occasionale e il pretesto per lo scoppio della guerra fra Atene e Sparta, finì per esserle attribuito dal commediografo Aristofane (Acarnesi, 523-529).

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Pericle, copia 430 a.C. circa, Musei Vaticani, Museo Pio Clementino.

La donna nel 432 a.C. fu sottoposta a processo per la duplice accusa di empietà e sfruttamento della prostituzione dal commediografo Ermippo. Plutarco (Vita di Pericle, 32.5) racconta che Pericle dovette supplicare non poco i giudici, non risparmiando neppure le lacrime, per cercare di intenerirli. Comunque il processo terminò con un proscioglimento, ma non rimase isolato, in quanto si connesse con i processi intentati lo stesso anno a Fidia e Anassagora.

Il primo era lo scultore che soprintendeva alle opere pubbliche disposte ad Atene da Pericle e fu accusato di essersi impadronito dell’oro e dell’avorio destinato alla statua di Atena da collocare nella cella del Partenone. Riuscito a scagionarsi, facendo pesare il metallo prezioso utilizzato per le vesti della dea, così da poter dimostrare di avere impiegato rigorosamente solo la quantità ricevuta, lo colpì una nuova accusa di empietà. Secondo una versione Fidia sarebbe fuggito in Elide, secondo un’altra morì in carcere.

Sempre di empietà fu imputato un altro personaggio vicino all’entourage di Pericle, il filosofo ionico Anassagora di Clazomene che scelse la via dell’esilio, invece di correre il rischio di una condanna alla pena capitale. Invidie e inimicizie non mancarono certo di farsi sentire.

Sacrilegio!: Alcibiade, l’irriverente profanatore

Atene è in guerra contro Sparta, non una delle tante e normali guerre, ma un evento bellico dalla portata enorme, perché non solo coinvolge tutta la Grecia, ma soprattutto le due grandi potenze politiche del mondo greco.

Nel 416 a.C. Atene decide di fare un salto di qualità nella strategia militare, spostando le operazioni belliche in Sicilia, contro la citta dorica di Siracusa, accogliendo la richiesta di aiuto di Segesta. Principale sostenitore dell’impresa fu Alcibiade, figura complessa, come efficacemente sintetizzato dallo scrittore latino Cornelio Nepote (De viris illustribus, 7.1.1):

“Quanti scrissero di lui, tutti sostengono che sia nei difetti sia nelle buone qualità nessuno poté superarlo”.

(Traduzione di Leopoldo Agnes).

Nonostante i molti problemi sul piano logistico, il giovane ambizioso riuscì a farsi seguire dalla folla, ma uno scandalo di particolare gravità colpì Atene alla vigilia della partenza della spedizione. In una sola notte furono mutilate tutte le Erme della città, ovvero i busti marmorei del dio Hermes collocati agli incroci delle strade o ai confini delle proprietà rurali in segno di devozione.

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Busto maschile idealizzato tradizionalmente identificato con Alcibiade, copia romana da un originale greco di IV secolo a.C., Musei Capitolini.

L’opinione pubblica restò turbata da quel gesto blasfemo e sfacciato, che urtava profondamente la religiosità della gente comune, impaurita che l’ira divina potesse ricadere su una spedizione così difficile. I responsabili dell’atto non furono mai scoperti, ma il clima di caccia alle streghe che immediatamente si creò venne abilmente sfruttato dagli avversari di Alcibiade, designato fra i comandanti della spedizione, per screditarlo.

Complice, infatti, uno stile di vita notoriamente sregolato, spregiudicato e trasgressivo con l’atmosfera di generale sospetto, il nome di Alcibiade iniziò a correre sulla bocca di tutti. A queste presunte voci popolari si unirono quelle diffuse ad arte di una sua profanazione dei misteri eleusini, riti religiosi in onore delle divinità Demetra e Persefone che contribuirono ulteriormente a demonizzare la sua figura.

La conseguenza? Alcibiade, travolto dallo scandalo, subito dopo la partenza della flotta verso la Sicilia, fu raggiunto da una nave per comunicargli l’ordine di ritornare ad Atene per sottoporsi a processo. Ma preferì disertare, rifugiandosi a Sparta per mettersi al servizio dell’ormai nemica Atene.

Quattro esempi diversi di quattro personaggi politici del mondo greco, intorno ai quali si è costruito un impianto fatto di accuse, sospetti e insinuazioni che attribuivano l’apparenza del danno sociale, ma capaci di fare presa sugli impulsi e le sensazioni immediate della gente comune, alimentati da situazioni di tensione politica, sociale ed economica.

Proseguiremo il nostro viaggio tra le fake news nel mondo antico a Roma e vedrete che troveremo molte affinità.

Continua…

Bibliografia:

Agnes Leopoldo (a cura di), Opere di Cornelio Nepote, Torino 1977.

Bearzot Cinzia, Manuale di Storia Greca, Bologna 2005.

Canfora Luciano, La Storia Falsa, Milano 2008.

Donini Guido (a cura di), Tucidide, Le Storie, Vol. I,  Torino 1982.

Lanza Diego (a cura di) Aristofane, Acarnesi, Roma 2012.

Magnino Domenico (a cura di), Plutarco, Vite Parallele, Vol. II, Torino 1992.

Traglia Antonio (a cura di), Plutarco, Vite Parallele, Vol. I, Torino 1992.

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