Ancora Kosovo: i cinque colpi di proiettile che lo scorso 16 gennaio hanno colpito il petto di Oliver Ivanovic, leader della minoranza dei serbi, ci riportano con brutale attualità alla questione kosovara. Sembra utile quindi un approfondimento sulla sua storicità.
Il Kosovo (il cui 92% della popolazione è albanese, l’8% serbo) ha ufficialmente dichiarato la sua indipendenza dalla Serbia nel 2008; nello stesso momento la Serbia rivendicava l’illegittimità di quella dichiarazione: Matya Bečovič circa un decennio fa ebbe a dire che “Kosovo è la parola serba più preziosa”.

Il Kosovo è una questione di centrale importanza per la Serbia per motivazioni sia di ordine religioso che storico.
Il medioevo è il momento in cui tutto è cominciato. Il quattordicesimo secolo infatti coincide con il consolidamento del potere serbo e durante questo periodo il Kosovo diventa il centro spirituale dell’impero serbo. La Kosovo Polje del 1389 assume rilievo perché fu innanzitutto una battaglia tra l’impero cristiano e l’impero musulmano; la cristianità e l’Islam, uno scontro tra civiltà direbbe Fukuyama. Il resto è storia: gli ottomani vinsero e la Serbia accettò il vassallaggio, ma quel passaggio restò nella memoria collettiva serba come uno dei momenti pregnanti della storia del paese, la pietra fondativa del sentimento nazionalista serbo.
Come già detto, il Kosovo è questione rilevante per la Serbia anche dal punto di vista religioso. Dentro i confini di Prishtina infatti si trova uno dei più importanti simboli dei cristiani ortodossi serbi: Peć, città che ospitò prima la sede del patriarcato del Regno di Serbia e oggi il patriarcato di Serbia. La questione religiosa è pregnante, soprattutto nella misura in cui in molti paesi dell’est Europa ortodossi l’indipendenza religiosa ha corrisposto all’indipendenza politica.

Veniamo ai giorni nostri: secondo la risoluzione 1244/99 del Consiglio di Sicurezza ONU il Kosovo sarebbe ancora parte della Serbia, così come le sue miniere e il potenziale economico di quell’area. Quando si menziona il potenziale economico ci si riferisce nient’altro che alla lignite, vale a dire il carbone, 15 milioni di tonnellate, a voler essere precisi. Il Kosovo è il quinto deposito al mondo del prezioso minerale, un giro d’affari che muove circa 85 miliari di euro per anno. Ca va sans dire, il futuro della Serbia senza quelle riserve è piuttosto imprevedibile.
E qui siamo al punto, la Serbia chiede il Kosovo come parte di essa non solo per questioni identitarie, ma anche (e soprattutto) per ragioni di ordine di real politik economica. Dall’altro lato il Kosovo reclama il definitivo riconoscimento internazionale in previsione di una maggiore partecipazione nel contesto internazionale (Unione europea e quindi NATO).
Nonostante questa volontà, che non tarda mai a farsi notare, il governo kosovaro non può ignorare i numerosi problemi che il giovanissimo Stato si trova ad affrontare sia dal punto di vista interno che estero. La crisi economica del 2008 non ha risparmiato nemmeno il Kosovo: la disoccupazione, soprattutto giovanile, conferma un trend molto negativo così come il livello di corruzione e instabilità politica generale, per non parlare della crescente instabilità religiosa. Va considerata poi la questione serba che, a livello interno, assume la forma di una discriminazione spesso piuttosto violenta.

Dal punto di vista geopolitico, chiaramente, la questione dirimente è il riconoscimento internazionale che, come già anticipato, blocca i processi di relazione intergovernativa di Prishtina. Il problema è quasi tautologico: il riconoscimento è necessario non solo per i futuri sogni internazionalistici, ma anche e sopratutto per preservare l’indipendenza. Sarebbe tutto molto più semplice infatti se il Kosovo di fronte ad una minaccia serba potesse rispondere paventando il tanto discusso articolo 5 del patto Nato, ma questo, comunque, risulta essere uno scenario molto lontano, da fantapolitica insomma.
In definitiva, tra gli Stati membri dell’Unione Europea il Kosovo non è riconosciuto da:
- Spagna (questione catalana e dei Baschi);
- Grecia (Macedonia);
- Romania (questione magiara);
- Slovacchia (questione magiara);
- Cipro (parte nord).
Tra paesi del Patto Atlantico non è riconosciuto da:
- Russia (questione della Crimea e lo stretto rapporto con la Serbia);
- Cina (questione del Tibet e la partnership con la Serbia);
- India (questione pakistana);
- Israele (questione palestinese).
Come riportato, la questione del non riconoscimento da parte dei vari Stati Ue e NATO non attiene a nessuna motivazione “personale”, quanto piuttosto al fatto che si creerebbe un precedente politico che potrebbe fungere da detonatore per le varie questioni delle autonomie interne.
Un’altra vicenda che ha causato una leggera diffidenza da parte europea è stata l’auto adozione dell’Euro come valuta nazionale. Il Kosovo abbandonò il dinaro serbo nel 1999 in favore del marco tedesco, al fine di proteggersi in qualche modo durante la guerra serbo-kosovara. Quando la Germania adottò l’Euro, il Kosovo la seguì, ma secondo le autorità economiche europee la scelta comunque non garantisce un salvacondotto verso l’adesione.
La questione kosovara, in definitiva, rientra nella più ampia e grave crisi dei della zona balcanica, una polveriera che nonostante il relativo silenzio degli ultimi anni, rischia di ri-esplodere minando ancora una volta un processo di pace che tarda ad inverarsi.