Trattato del Quirinale: una nuova partenza tra Francia e Italia?

Il progetto del Trattato del Quirinale attesta il buon momento delle relazioni transalpine, ma alcune tendenze strutturali del rapporto bilaterale e il voto italiano del prossimo marzo potrebbero ostacolare una piena cooperazione fra i due paesi, soprattutto in ambito europeo.
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L’iniziativa di Lione

Nel 1982, un anno dopo l’arrivo all’Eliseo di François Mitterrand e dopo circa un decennio di incomprensione e indifferenza reciproca, Francia e Italia decidono di rianimare le relazioni bilaterali dando vita alla pratica dei sommet bilaterali. Durante il 34esimo vertice, svoltosi a Lione lo scorso 27 settembre, il presidente francese Macron e il primo ministro italiano Gentiloni hanno deciso di fare un ulteriore passo in avanti nell’ambito della cooperazione bilaterale, lanciando l’iniziativa del Trattato del Quirinale, un documento la cui firma congiunta è prevista per la fine del 2018 e che risponde all’esigenza di suggellare e istituzionalizzare le buone relazioni tra i due paesi transalpini. Dopo aver sorpassato le recenti tensioni sulla questione dei migranti alla frontiera di Ventimiglia e sul caso Fincantieri, Parigi e Roma hanno dunque ripreso a pieno regime la loro collaborazione.

Il Trattato del Quirinale sembra del resto affiancare – sia nella denominazione che nel significato politico – un’altra recente e importante iniziativa bilaterale tra Francia e Germania, le quali a distanza di 55 anni hanno deciso di rinnovare lo storico Trattato dell’Eliseo. Lo scorso 22 gennaio 2018, infatti, l’Assemblée Nationale francese e il Bundestag tedesco hanno approvato una nuova e aggiornata versione del testo con il quale nel 1963 il presidente francese Charles De Gaulle e il cancelliere della Repubblica Federale tedesca Konrad Adenauer sancirono la definitiva riappacificazione tra Parigi e Bonn, ponendo così le basi per la creazione di quel motore franco-tedesco alla base del processo di integrazione.

Trattato del Quirinale
La firma del Trattato dell’Eliseo il 22 gennaio 1963. Fonte: Wikipedia

Dalla fine di quest’anno, anche l’Eliseo e Palazzo Chigi potranno contare sul loro Trattato del Quirinale. Stando alle linee guida, il progetto prevede sostanzialmente un rafforzamento della cooperazione nell’ambito di diversi ed importanti settori specifici, tra i quali spiccano quelli dell’industria, della difesa, della ricerca, della ricerca e della cultura. In buona sostanza, si tratterà di avviare nuovi progetti comuni e di rafforzare la coordinazione su quelli già esistenti. L’incarico di elaborazione del testo è stato affidato ad un comitato misto di sei saggi, tre per paese, tra cui risaltano i nomi dell’ex ministro Paola Severino sulla sponda italiana e quello di Gilles Pécout, storico dell’Italia del diciannovesimo secolo, sulla sponda francese.

L’iniziativa, che prenderà ufficialmente vita a partire dal 2 marzo – rivela innanzitutto il buono stato di salute di cui godono negli ultimi anni i legami transalpini. Più in generale, essa sembra iscriversi in un processo di progressivo riavvicinamento tra i due paesi, dopo che l’avvento della lunga parentesi berlusconiana (verso cui sia Mitterrand che Chirac non dimostrarono una grande sintonia) e il conseguente appiattimento della politica estera italiana sulla scelta atlantica (come dimostra nel 2003 il supporto italiano nell’invasione dell’Iraq, contrariamente al rifiuto di Francia e Germania) avevano raffreddato sensibilmente i rapporti tra i due paesi alpini.

 

Il rilancio dell’Europa come vero banco di prova

Dall’arrivo di Macron all’Eliseo, malgrado le tensioni iniziali, l’Italia sembra aver riguadagnato una certa attenzione da parte di Parigi. Diverse sono le dichiarazioni che vanno in questa direzione e che sembrano rafforzate dalla sincera stima che il presidente francese nutre nei confronti del primo ministro italiano Gentiloni, per il quale ha auspicato un’affermazione nelle prossime elezioni, dal momento che “l’UE è fortunata ad avere un leader come lui”.

Una tendenza positiva supportata dai dati provenienti dal settore economico-commerciale, ambito in cui la Francia si conferma il secondo partner dell’Italia e viceversa, a riprova di quanto le buone relazioni tra i due paesi siano di fatto indispensabili per gli interessi di ciascuno. L’elaborazione del Trattato del Quirinale e della sua futura entrata in vigore rappresentano certamente un successo diplomatico che i due paesi non hanno esitato a sottolineare in sede di conferenza stampa. Ma, al netto delle novità introdotte in alcuni settori specifici e del contributo che questa iniziativa apporta nel miglioramento generale dell’atmosfera dei rapporti franco-italiani, il vero banco di prova del legame tra Roma e Parigi sarà ancora una volta l’Europa, con i suoi problemi più urgenti (su tutti quello della gestione dei flussi migratori) e la sua prospettiva di rilancio.

Trattato del Quirinale
Un momento del summit di Parigi del maggio 2017.
Fonte: TgCom24

Di fatto, volendo andare oltre l’immagine e le dichiarazioni di circostanza che da sempre corredano i vertici bilaterali di questa natura, è proprio sul piano più squisitamente politico, e in particolar modo sui grandi temi dell’agenda europea, che la Francia e l’Italia saranno chiamate a dare prova concreta della loro intesa. Dalla migliore coordinazione per la gestione dei flussi migratori (ambito in cui Parigi e Roma sono chiamate a fare di più dopo le tensioni dell’estate scorsa) al necessario rilancio di un’Unione ancora alle prese con gli strascichi della crisi economica e le conseguenze del Brexit.

In seguito ad una serie di dichiarazioni e di discorsi di chiara impronta europeista (su tutti quello tenuto alla Sorbona il 26 settembre scorso), e alle due iniziative di carattere bilaterale intraprese con i suoi principali partner europei, il presidente francese Macron ha confermato di voler fare del rilancio del processo di integrazione una delle priorità della sua azione esterna. Si tratterà ora di passare dalle dichiarazioni di intento alle realtà politiche, e di vedere attraverso quali modalità e con quale grado di coinvolgimento l’Italia sarà inserita o saprà inserirsi tra la coppia franco-tedesca nelle iniziative per il rilancio. È infatti solo nella più ampia prospettiva della costruzione europea che i rapporti franco-italiani acquistano un loro peso specifico.

 

Limiti e prospettive della cooperazione franco-italiana

In questo senso, due risultano essere i principali ostacoli da tenere in considerazione: l’uno di carattere storico, l’altro più contingente.

Dal punto di vista storico, malgrado la prossimità geografica e gli indiscutibili legami socio-culturali, e per quanto sia Roma che Parigi abbiano tendenzialmente incoraggiato lo sviluppo del processo di costruzione, raramente gli interessi europei dei due paesi sono riusciti a conciliarsi dando vita ad una fruttuosa collaborazione. Questa tendenza, che è innanzitutto il frutto dell’approccio divergente da parte dei due paesi verso la natura stessa della costruzione europea (di stampo federalista quello italiano, molto più inter-governativo quello francese), si è accentuata in diverse occasioni a causa della riproposizione di alcune classiche percezioni negative dell’uno verso l’altro. Se la Francia è spesso accusata di marginalizzare l’Italia a vantaggio esclusivo del legame con la Germania, all’Italia si rimprovera di preferire l’Europa delle parole all’Europa dei fatti.

Trattato del Quirinale
Berlusconi e Chirac. Immagine d’archivio. Fonte: Gq Italia

Un’impostazione di base che ha certamente ostacolato in più di un’occasione una piena convergenza europea tra i due paesi latini. Affinché il Trattato in cantiere oggi vada oltre la carta domani, è quindi necessario che Francia e Italia facciano uno sforzo reciproco, sorpassando vecchie rappresentazioni stereotipate che, sul versante italiano, tendono a esagerare la solidità della coppia franco-tedesca, mentre su quello francese tendono a ritenere Roma troppo debole per essere considerata come un partner privilegiato.

Un altro limite ad una piena collaborazione transalpina è inoltre rappresentato dalla cronica instabilità governativa della Penisola, un fattore tenuto in debita considerazione dall’Eliseo. Un elemento che risalta per contrasto con il diverso sistema politico francese, la cui architettura costituzionale, al netto di alcuni limiti di rappresentanza non certo trascurabili, garantisce una stabile azione esecutiva e una più coerente rappresentanza degli interessi in sede di concertazione europea.

Le prossime elezioni italiane costituiranno uno spartiacque importante sia per la realizzazione del Trattato che per il futuro delle relazioni franco-italiane e del rilancio europeo. Il livello della campagna elettorale italiana – con il tema dell’Europa strumentalizzato in chiave populista quando non del tutto relegato ai margini del dibattito –, e il quadro estremamente incerto e frammentato del panorama politico in campo non sembrano lasciare molto spazio all’ottimismo.

A partire dal prossimo 5 marzo, il nuovo governo italiano sarà quindi chiamato per un verso a mantenere gli impegni assunti da Gentiloni in sede bilaterale, e per l’altro al ben più arduo compito di mostrare una costante ed effettiva capacità di inserirsi nell’iniziativa franco-tedesca. Dal canto suo, la Francia di Macron dovrà confermare sul campo la buona volontà dimostrata a più riprese nelle dichiarazioni, integrando e implicando nel concreto l’Italia nel tentativo di dare un nuovo impulso al progetto europeo.

Dalla questione dei migranti al tentativo di rilanciare la crescita e gli investimenti passando per l’esigenza di ridare slancio alle istituzioni europee, le ragioni comuni e le premesse sembrano non mancare: basterà un trattato per cancellare i vecchi difetti tra le due nations sœurs?

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