«Social, il trionfo delle dinamiche neo-tribali» intervista ad Alessio Postiglione

Dialogo con l’esperto di comunicazione politica sulle nuove dinamiche di contrapposizione e sul ruolo della politica populista nell’era dei social.
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– Come è cambiata la comunicazione politica nell’era di Twitter, Instagram e Facebook?

Come diceva von Clausewitz, la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. Se nel linguaggio politico già esiste una propensione allo scontro, oggi il web esalta ed esaspera questo flusso comunicativo polarizzante attraverso “il gioco dei social”. Qui, infatti, si realizza una dinamica di contrapposizione amici – nemici che conduce a quello che Marshall McLuhan definiva “tribalismo”. Un conflitto reso ancora più violento dall’assenza di un moderatore, diversamente da ciò che accade in televisione.

– Si può affermare che nell’epoca dei post e dei tweet si sia ridotto lo spazio per una comunicazione politica più riflessiva e densa di contenuti?

Effettivamente già con l’avvento della televisione la politica è diventata “politainment” e, parallelamente, anche il sistema d’informazione non ha più il ruolo di watchdog, e si traforma in “infotainment”. Tutto è travolto dalla dinamica della società dell’intrattenimento che ha portato alla spettacolarizzazione e ad una mobilitazione permanente su basi emozionali e non razionali.

Lo spazio della riflessione sembra quindi essersi irrimediabilmente ridotto. Con l’avvento dei social si è poi persa anche quell’intermediazione (che aveva un ruolo di “katèchon”, di potere che frena altri poteri), presente nello spazio televisivo. Ciò ha ridimensionato il ruolo della comunicazione in nome della massimizzazione del consenso del qui ed ora.

Nella stessa democrazia esistono quindi alcuni germi che potrebbero condurre alla distruzione della stessa – come profetizzato da Leo Strauss – a cui bisogna prestare attenzione.

– Perché Matteo Salvini è il leader europeo con più like su Facebook? Perché la sua strategia di comunicazione è vincente?

Innanzitutto non ritengo utile soffermarsi sulla classifica di popolarità di un leader sui social, che non è mai attendibile al 100% per la possibile presenza di like falsi e profili fake.

Salvini, però, interpreta molto bene la dinamica del web perché è iper-polarizzante. Gioca sulla paura, una reazione naturale che però si scontra con quella concezione della politica come educatrice delle masse. Oggi il populismo mobilita il risentimento non soltanto delle classi economicamente più disagiate, ma anche della classe media.

Come evidenziano anche Ronald Englaard e Pippa Norris, all’aumentare della povertà si realizza un aumento della polarizzazione politica, e chi riesce a soffiare su questo vento può massimizzare il consenso.

Salvini, quindi, utilizza un modus operandi arcaico ma di successo, il cui risultato è garantito dalla forza dirompente dei social.

– Giuseppe Antonelli nel suo libro Volgare eloquenza parla del fenomeno del “mirroring”, sostenendo che dal «votami perché parlo meglio (e dunque ne so più) di te», si è passati al «votami perché parlo (male) come te»[1].

Il politico oggi è una persona che deve parlare la stessa lingua delle masse mimando il linguaggio ruvido delle componenti sociali più arrabbiate. Il vero tema è che questo odio di classe oggi riguarda soprattutto le classi medie in decadenza e non solo quelle subalterne. Il successo dei partiti di estrema destra contemporanei è il risultato della crisi del ceto medio “well educated” che insegue questo ribellismo, replicando il linguaggio della violenza di classe del proletariato. Alcuni partiti sfruttano questa situazione parlando alla pancia dell’elettorato ben sapendo che potranno contare su un vasto consenso.

Recentemente hai sostenuto, riferendoti al pensiero di George Sorel, che tra M5S e Lega sia nata un’alleanza “rossobruna” tra populismi di destra e di sinistra. Ritieni che questa soluzione possa durare nel tempo?

Se la Lega è certamente un partito di destra, il Movimento 5 Stelle mette insieme posizioni di destra e di sinistra. Nel caso dell’alleanza di governo è chiaro che la componente di sinistra del Movimento viva una condizione di disaffezionamento.

In sostanza il populismo oggi può essere una ricetta vincente, ma solo se si perpetua la distinzione tra populismo di destra e populismo di sinistra.

Il “rossobrunismo”, in cui sono presenti entrambe le componenti unite contro lo stato borghese, non è sufficiente per un’alleanza duratura e cade proprio nel caso del Movimento 5 Stelle, dove chi non è d’accordo con la politica di Salvini tende ad allontanarsi, mentre i suoi seguaci tendono ad essere risucchiati dalla retorica della Lega.

– Quali errori di comunicazione hanno portato il PD a dimezzare i propri consensi in pochi anni?

Il PD soffre l’epoca dell’anti-establishment, poiché il suo giglio magico è l’espressione più chiara di una classe sociale borghese oggi presa di mira dalla retorica populista. Se inizialmente Renzi aveva un atteggiamento di rottamazione, successivamente ha svestito la camicia bianca per l’abito elegante, facendo emergere la verità: il suo blocco sociale rappresenta l’establishment.

Gli errori di comunicazione sono stati quelli di concentrarsi sui dati e sul PIL italiano in un’epoca in cui non contano i numeri e la scienza, ma le emozioni, i sogni e l’irrazionalità.

Inoltre non ha perseguito il tema caro della sinistra, cioè la redistribuzione, parlando di aumento della ricchezza generica senza pensare che quest’ultima riguardava solo una piccola parte della popolazione.

C’è stato, dunque, un errore di narrazione e di valutazione del proprio elettorato.

– Sulla vicenda dello Stadio della Roma hai dichiarato che il coinvolgimento delle lobby nella politica «non rappresenta una patologia della democrazia, bensì una presenza fisiologica». Il registro dei portatori di interesse (oggi in vigore alla Camera dei Deputati) è la strada giusta per coinvolgere i diversi stakeholder o servono misure più incisive?

L’obiettivo deve essere una vera regolamentazione del sistema che preveda una rivoluzione culturale. Bisogna capire che la democrazia è fatta di interessi in concorrenza tra loro.

L’agenda degli incontri tra rappresentanti pubblici e privati è un aspetto positivo, ma ciò non basta. Si potrebbe pensare ad una vera rinascita del CNEL come organo di intermediazione tra i lobbisti e il Parlamento. Non sono un esperto del lobbismo ma sicuramente in Italia il sistema non funziona.

– Quali sono le differenze tra la comunicazione sui siti istituzionali e su quelli politici? Esiste un protagonismo dei ministri nel momento in cui entrano in carica?

Il problema risiede nella mancanza di distinzione tra aspetto pubblico e privato. Oggi con i social è aumentata l’ibridazione tra le due componenti cosicché non è più possibile capire quali dichiarazioni possano essere considerate “istituzionali”, e dunque proprie del ruolo attribuito al soggetto da una legittimazione popolare, e quali “politiche”.

È il caso delle parole sul censimento dei rom da parte di Salvini, che Di Maio ha bollato come “dichiarazioni a titolo personale”.

– Dalle piazze ci si è spostati nei salotti tv ed ora si segue e si comunica in politica dalle tastiere dei notebook e dagli smartphone. Quale sarà il prossimo passo?

Stiamo passando dalla politica tradizionale a quella che Michael Foucault chiamava “biopolitica”, cioè una politica che agisce sulla mente delle persone, per cui i valori politici sono diffusi negli individui senza che questi possano capire che tutte le informazioni che ricevono sono orientate verso uno scopo.

Dalla televisione agli smartphone la comunicazione politica è diventata sempre più invasiva e pervasiva, utilizzando canali diversi da quelli tradizionali. Anche qui l’azione dell’individuo è sempre più orientata da un sistema di potere in cui pubblico e privato sono strettamente interconnessi.

Un fenomeno che riguarda tutti gli aspetti della vita di un individuo, dal cibo ai gusti musicali fino ad arrivare al sesso. Bisogna dunque essere consapevoli del significato e delle conseguenze di questi aspetti della comunicazione.

[1] G. Antonelli, Volgare eloquenza. Come le parole hanno paralizzato la politica, Roma – Bari, Laterza, 2017, p. 23.

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