Spread e Austerity: storie di pressioni berlinesi

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In dieci anni di crisi economiche e politiche, l’attore che ha fatto più strada di tutti è stato lo spread. Prima del 2008, il differenziale era uno strumento noto principalmente agli addetti ai lavori. Dopo il fallimento della Lehman Brothers lo spread si è fatto largo sulla scena politica irrompendo con una forza tale da far cadere governi.

E’curioso il fatto che principalmente a essere influenzate di più, rispetto agli altri paesi europei, siano state la Grecia e l’Italia. La prima è andata letteralmente in recessione a causa della poca trasparenza contabile che Atene ha dimostrato all’Europa; mentre la seconda, anche se ha affrontato la crisi economica e finanziaria in maniera più virtuosa, non è riuscita a soddisfare i mercati. Per questo motivo, l’Italia, del governo Berlusconi, negli ultimi mesi del 2011, ha visto l’impennata del differenziale tra i Bund (Bundesanleihen) e i BTP (Buoni del Tesoro Pluriennali), che ha agevolato la fine del governo del Popolo delle Libertà.

Sembra fantascienza, ma consideriamo che lo spread fino a poco tempo fa era un nome semi sconosciuto, mentre oggi se ne parla su tutte le prime pagine dei quotidiani. Escludendo l’ipotesi che negli ultimi anni ci sia stata una proliferazione di appassionati in economia finanziaria, possiamo iniziare a comprendere per quale motivo oggi, nel 2018, la politica italiana debba dipendere da fattori esterni dai suoi confini nazionali che da dieci anni stanno pericolosamente – condizionando e ignorando – le scelte elettorali e consolidando così una consuetudine a dir poco inquietante per un paese repubblicano e democratico.

Poco prima del 4 marzo lo stesso Juncker era andato a gamba tesa affermando di essere “preoccupato per l’esito delle elezioni italiane e dobbiamo prepararci allo scenario peggiore”. Sono state sufficienti queste poche parole a mandare in tilt piazza affari, e al momento della suddetta dichiarazione mancavano ancora un paio di settimane alle elezioni in Italia. Nell’ultima uscita l’ex Premier lussemburghese ha affermato “Gli italiani devono prendersi cura delle regioni povere d’Italia. Aumentando il lavoro e diminuendo la corruzione“. Un commento fatto da chi durante la sua  amministrazione, prima come Ministro delle finanze e poi come Premier, è stato accusato di responsabilità nelle “tax ruling”, accordi preferenziali che hanno dotato numerose multinazionali (anche italiane) con sede legale nel Granducato di uno speciale regime fiscale che ha permesso un’ingente esenzione realizzata ad hoc per i grandi marchi (fino a tre quarti dei profitti).

Risulta essere più allarmante il Tweet del giornalista Bernd Thomas Riegert, del Deutsche Welle News, il quale ha pubblicato sui social la frase – “I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto” – dichiarata dal commissario europeo al bilancio Gunther Oettinger durante un’intervista rilasciata alla emittente tedesca. Sarebbe stato più corretto se il commissario avesse affermato che i mercati costringeranno gli italiani a votare verso una certa direzione imposta dagli investitori esteri i quali, a causa dell’instabilità politica, tenderanno a ridimensionare il loro portafoglio italiano. In tal modo si va a forzare la mano dell’elettore, e lo si porta a votare la rappresentanza politica che gli garantisce una stabilità economica, e che magicamente fa recedere il livello del differenziale. Le crisi politiche degli ultimi anni, del resto, sono legate alla crisi economica, innescata molte volte da fattori esterni al nostro territorio nazionale.

der spiegel
Copertina del settimanale tedesco Der Spiegel. 

È emblematica la copertina pubblicata sul settimanale tedesco Der Spiegel, dove l’editorialista Jan Fleischhauer ha espresso il malumore nutrito dalla Germania sullo scenario politico italiano, accusando Roma di essere “ladrona” (battuta che già conosciamo) e di non farsi carico dei propri debiti, anzi di volerli modificare. Ormai siamo abituati a questo processo basato su stereotipi che i nostri precedenti governi in primis hanno abilmente esportato in tutto il mondo. Pietro Benassi, Ambasciatore italiano a Berlino in una lettera di risposta inviata a Der Spiegel online ha affermato che l’articolo in questione è un attacco ad una responsabilità collettiva legata ad una caratteristica nazionale che giustifica così un’offesa collettiva.

Fleischhauer oltre alla filippica relativa agli stereotipi mediterranei, da tempo ha puntato il dito verso Mario Draghi, accusandolo di essere stato troppo magnanimo nei confronti dell’Italiani, grazie al ricorso del quantitative easing nel 2015. Nonostante le bordate tedesche, con la Merkel in prima fila, dagli inizi di maggio la BCE ha ridotto il volume di acquisto dei titoli italiani,  sconfessando così le proteste di Berlino ma attirandosi le ire del Movimento 5 stelle e della Lega, che hanno accusato Francoforte di voler incrementare il differenziale tra i titoli italiani e tedeschi.

La critica alla ragion italiana o mediterranea, sembra essere divenuta una esclusiva dell’Europa “carolingia”, capeggiata da una Germania, la quale venne criticata qualche anno fa nel libro Scheitert Europa? (L’Europa sta fallendo?) dall’ex Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, che insieme alle pubblicazioni di Varoufakis è dichiaratamente nemico giurato della politica di austerity europea sponsorizzata dal binomio Bruxelles – Berlino.

Fischer nella sua opera si scaglia contro le politiche euro-egoistiche tedesche verso i paesi del sud Europa incentivate dal potente ex Ministro delle finanze tedesco Schaeuble, il quale ha obbligato gli “stati canaglia europei” a sviluppare una deflazione dei salari e dei prezzi legata fatalmente alla spirale dei debiti e di fatto, condanna i paesi soggetti a questi interventi ad non uscire dalla crisi. In mancanza di  misure idonee la policy nordica ha la potenzialità di incentivare il fallimento dell’eurozona.

Non dimentichiamoci, scrive Fischer, che la stessa Germania, nel secondo dopoguerra, era impossibilitata a saldare i debiti e le riparazioni di guerra.

Per questo il 24 agosto 1953 venne sottoscritto a Londra l’accordo sui debiti esteri germanici (Agreement on German External Debts), un trattato firmato da ventuno paesi (Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia), i quali consentirono alla Germania di dimezzare i propri debiti del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionati in un trentennio per evitare il default di Bonn. Nel 1990 l’allora Cancelliere Helmuth Kohl si oppose ad una rinegoziazione dell’accordo e, con l’aiuto dell’Italia, vi fu di fatto un condono che scongiurò un terzo potenziale default della Germania, un paese che si era appena riunificato e che non era in grado di fare fronte ai debiti contratti.

Grazie alla benevolenza di quei paesi che oggi sono in seria difficoltà a causa delle rigide politiche di austerity, si è permesso alla Germania di rinascere economicamente, e diventare il punto di riferimento nella storia comunitaria europea. L’anno prossimo vi sarà la fine del mandato di Mario Draghi a Francoforte e già nei corridoi si vocifera il nome di Jens Weidmann, noto soprattutto per la sua feroce critica verso le politiche monetarie espansive dell’era Draghi, che, a detta degli analisti, avrebbe salvato la moneta unica.

Weidmann già preannuncia un ritorno alla politica monetaria reale, una manovra che l’eurozona ha attuato nei primi dieci anni di moneta unica ed ha permesso di fortificare principalmente l’economia tedesca a discapito di nazioni che a fatica mantenevano la propria bilancia secondo gli standard europei dettati da Berlino. Un ritorno ad una policy monetaria del passato non farà altro che ingrandire il divario tra i paesi del nord con quelli mediterranei e di fatto farà sicuramente nascere l’esigenza di sviluppare un’Europa di serie A e una di serie B, senza possibilità di promozioni.

Andremo incontro a questo scenario nei prossimi anni? L’auspicio è che si trovi una soluzione, perché una rottura economica avrebbe forti conseguenze anche a livello politico.

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