Una ricostruzione dei fatti spagnoli
Il referendum indipendentista catalano dello scorso 1 Ottobre ha avuto come uniche risposte la rigida applicazione di un legalismo istituzionale da parte del governo di Madrid, ad ora apparentemente senza alcuna possibilità di soluzione indolore per la situazione politica e sociale. E’ interessante ripercorrere la dinamica politica della convulsa fase spagnola e analizzare l’azione del presidente della Generalitat catalana Puidgemont che ha portato all’indizione di un referendum vincolante (a differenza di quello tenutosi nel 2014) sull’indipendenza della regione. Si è trattato di una decisione unilaterale, forzando le decisioni del Tribunale costituzionale spagnolo che già il 7 settembre 2017 aveva sospeso il referendum, sostenuta da argomentazioni pubbliche basate sulla legittimità del popolo catalano di autodeterminarsi in quanto tale come “Nazione”, in contrapposizione al “sistema politico, sociale e mediatico” spagnolo. Le intenzioni di Puidgemont sembrano essere state chiare fin dall’inizio: compensare l’inevitabile forzatura istituzionale e politica che avrebbe comportato il processo d’indipendenza con la forza politica di un’eclatante risultato referendario nei numeri e nel risultato che trova il sostegno nel continuo appello all’orgoglio identitario catalano.
D’altra parte il governo di Madrid e il presidente del governo Mariano Rajoy hanno reagito facendosi forza del loro potere istituzionale, facendo assumere forti significati politici alle iniziative politico-istituzionali, giudiziarie, poliziesche che si sono succedute a partire dallo scorso Giugno. Dalla suddetta sospensione dei referendum di Settembre, e dell’indagine conseguente per tutto l’Ufficio di presidenza del Parlamento catalano, fino alla cancellazione definitiva della sua legge istitutiva del 17 Ottobre; dalle azioni – anche repressive – della Guardia Civil, alle iniziative giudiziarie contro i leader indipendentisti dell’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) e di Ómnium, Jordi Sánchez e Jordi Cuixart: la risposta delle istituzioni spagnole e dei principali partiti nazionali è stata rimessa all’esecuzione del legittimo potere coercitivo dello Stato nazionale. La prima scelta squisitamente politica è datata solo 19 Ottobre e riguarda la recentissima decisione, da parte del Consiglio dei Ministri, di avviare l’iter per l’esecuzione dell’articolo 155 della Costituzione per la sospensione dei poteri speciali di cui gode la Catalogna come regione autonoma.
Le storie di popolazione di Rogers M. Smith
Il lavoro del filosofo Rogers M. Smith, Stories of peoplehood: the politics and the morals of the political membership (Cambridge University Press, 2003), offre spunti molto fecondi per poter leggere in modo critico l’attuale situazione spagnola e la crisi tra Catalogna e governo centrale. Più in generale, l’analisi dello studioso americano può fornire un’interessante chiave interpretativa circa la difficoltà che i partiti tradizionali degli Stati europei – ma non solo: si potrebbe dire occidentali – hanno nell’affrontare efficacemente le numerose questioni che vengono poste da movimenti, associazioni e partiti più o meno populisti riguardo l’appartenenza e il riconoscimento identitario entro le comunità politiche nazionali. Questioni che spaziano, appunto, dall’indipendentismo spagnolo ai referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto e che includono, anche, quelle piattaforme politiche che declinano le questioni di identità e appartenenza in termini razzisti e xenofobi (non ultima, la virata a destra che ha compiuto con successo il Partito Popolare Austriaco attraverso Sebastian Kurtz).
Il popolo politico è l’entità che Smith pone al centro della sua analisi concettuale e individua come fondamentale per il dibattito attuale sulle forme di associazione politiche. Esso è quell’aggregazione di persone che pone rivendicazioni di grado ed estensione variabili nei confronti di altre associazioni, con cui instaura un rapporto di rivalità, se non di conflittualità. Il popolo politico è costruito e sostenuto in una distribuzione verticale del potere tra leader e popolo attraverso le cosiddette “storie di popolo”: argomenti e mitologie di tipo etico, politico, sociale o economico che servono a consolidare l’identità del popolo e la sua forza rivendicatrice. Parlare dei processi di formazione dei popoli politici e trovare quegli elementi concettuali comuni tra gli innumerevoli che si sono susseguiti (e si susseguono) nella storia è imprescindibile per Smith, se si vuole interpretare al meglio l’attuale situazione politica internazionale, che vede un progressivo ritorno ad una balcanizzazione governativa dopo secoli di dominio della forma politica dello Stato-nazione.

La crisi delle classi dirigenti spagnole ed europee
Questi pochi elementi di Stories of peoplehood sono utili per mettere in evidenza le mancanze politiche che le due parti in causa hanno evidenziato e per poi estendere la critica alle classi dirigenti europee che, attualmente, risultano essere establishment politico. Da una parte Puidgemont ha mostrato tutti i suoi limiti come capo del popolo politico catalano, dando l’impressione di essere impreparato al deludente dato di partecipazione al referendum (solo il 43% degli aventi diritto al voto), che ha complicato i suoi piani di sostegno identitario e plebiscitario al processo di indipendenza, anche nei confronti di una situazione politico-istituzionale – non solo nazionale, ma anche europea – notoriamente e decisamente sfavorevole. Una dimostrazione di ciò può essere riscontrata nell’ambiguità della lettera del 16 Ottobre che lo stesso ha inviato a Rajoy, in cui è presente un (tardivo) appello al dialogo con il governo centrale, senza che vi sia risposta sull’effettività o meno dell’esito referendario, come da richiesta di Madrid.
Se il Presidente della Generalitat sembra incastrato nella strettoia politica che lui stesso ha creato, ciò che però è più significativo sottolineare è il tipo di reazione che lo stesso governo centrale spagnolo e l’Unione Europea hanno avuto nei confronti del referendum. Nonostante l’imperizia del leader catalano, è evidente come da parte del suo popolo sia presente una forte questione identitaria, che mette in seria questione i rapporti della regione con il governo centrale: basti ricordare lo statuto catalano del Giugno 2006 in cui viene affermata l’autonomia della “nazionalità catalana” e l’ascesa dal 2003 dei partiti indipendentisti, culminata il 27 Settembre 2015 con la conquista di 62 seggi su 135 nel Parlamento regionale. All’esito ultimo di questo processo di formazione di popolo – il referendum appunto –, non c’è stato alcun tipo di risposta politica da parte del governo centrale e dei suoi partiti tradizionali: la forzatura istituzionale e costituzionale di Puidgemont ha costituito il parafulmine attraverso cui gli esponenti politici spagnoli si sono protetti dall’elaborazione di una seria interpretazione della fase, che tenesse conto della realtà delle rivendicazioni indipendentiste catalane.
La minaccia all’unità nazionale è stata sufficiente per un appiattimento acritico sui meccanismi di difesa che lo stesso sistema politico nazionale ha attivato automaticamente: Rajoy è risultato essere il baluardo dello Stato-nazione Spagna, sottolineando nelle azioni quanto l’esercizio del potere coercitivo statale contro cittadini e politici catalani fosse inevitabile. La scelta dell’attivazione dell’articolo 155 è la conferma di una scelta politica che punta tutto sull’arroccamento a difesa della comunità politica nazionale, senza che inoltre si sia attivato il ricorso ad una storia di popolazione prettamente spagnola. E’ significativo a riguardo l’appellativo – minaccioso – di slealtà e irresponsabilità che re Felipe VI ha rivolto nei confronti dei leader catalani. Ugualmente dall’UE il silenzio politico sulla questione referendaria è stato desolante: il coro della difesa dell’integrità degli stati nazionali, dell’ordine costituzionale è stato unanime, senza alcun cenno alla questione di popolo che la Catalogna rappresenta.
Il necessario ripensamento della politica europea
La crisi spagnola sembra dunque essere uno specchio di quella – al momento apparentemente senza via uscita – in cui versano le classi dirigenti politiche tradizionali nella loro capacità di produzione politica. La difesa dello stato-nazione, ancora forte della sua piena legittimità come forma politica di comunità nonostante il probabile esaurimento del suo compito storico, sembra essere l’unica insegna disponibile cui aggrapparsi, di fronte ai cittadini e alla discussione pubblica, per non soccombere alle spinte disgregatrici che provengono dai movimenti populisti, razzisti, xenofobi, dalle richieste indipendentiste nelle loro varie forme. L’unica altra scelta politica sul tavolo sembra essere quella di cedere a tali richieste in chiave elettorale, pensando di poter scampare al baratro della disgregazione dei legami politici tra cittadini e istituzioni attraverso concessioni strumentali ad hoc. L’esempio di David Cameron, della promessa di indizione di un referendum sulla Brexit nella campagna elettorale 2015 e delle conseguenze post-consultazione è paradigmatico sull’efficacia di tale approccio. L’urgenza europea – e occidentale – non sembra essere quella di trovare cavalli elettoralmente vincenti, quanto leader che coraggiosamente aggiornino concetti politici ormai depotenziati come strumenti narrativi di identità di popolo (lo stato-nazione, ad esempio), per non dover più delegare l’iniziativa a personaggi politici dichiaratamente eversivi e antisistema. Basti pensare che l’ultima storia di costruzione di popolo di successo, dal punto di vista liberal-democratico, è quella intrapresa da Obama nel 2008: un lasso di tempo che è stato sufficiente per l’elezione di un personaggio come Donald Trump.
Credits copertina:
Pro-Independence Catalan Flag and Referendum Poster – Girona – Catalunya – Spain by Adam Jones