Inizia oggi il viaggio in tre tappe sulla legge elettorale in discussione al Parlamento. Un approfondimento che si concentrerà sui principali punti di riflessione della proposta.
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Italicum, Rosatellum, Tedeschellum. L’elenco delle leggi elettorali approvate o soltanto presentate senza la possibilità di vederle all’opera, potrebbe concludersi con il testo unificato della proposta di legge 2352 e abbinate, altrimenti detto Rosatellum.
Il progetto approvato alla Camera ha scatenato numerose proteste nel merito ma soprattutto nel metodo da parte di quelle forze politiche contrarie escluse dall’accordo, come M5S e Mdp.
Cosa prevede la nuova legge elettorale?
Nella sostanza si tratta di una legge che attribuisce il 36% dei seggi tramite collegi uninominali, in cui sono possibili coalizioni che sostengono un unico candidato, e il restante 64% tramite un sistema proporzionale con collegi in cui sono eletti dai 2 agli 8 parlamentari (considerando anche il Senato).
Per scoraggiare il frastagliamento eccessivo delle sigle è prevista una soglia di sbarramento del 3% su base nazionale per l’accesso delle singole liste alla Camera e al Senato, percentuale che sale al 10% per le coalizioni (al cui interno ogni lista deve aver raggiunto comunque almeno il 3%). Nel caso in cui un partito in una coalizione ottenga tra l’1% e il 3%, non entrerà in Parlamento ma i suoi voti andranno distribuiti proporzionalmente ai risultati ottenuti dalle altre formazioni della coalizione (favorendo dunque i partiti che hanno ricevuto più voti).
È inoltre prevista una soglia del 20% su base regionale, o l’elezione dei candidati in almeno due collegi uninominali, per le liste rappresentative delle minoranze linguistiche. I listini sono bloccati (cioè i candidati sono già decisi dalle segreterie di partito), ed è previsto un solo voto valido per sistema uninominale e plurinominale (non si possono cioè esprimere due voti diversi per un candidato e per una lista che non lo sostenga).

Quali quesiti dobbiamo porci?
Tralasciando i numerosi aspetti tecnici, per valutare complessivamente il provvedimento bisogna interrogarsi su tre quesiti fondamentali.
1) La procedura fin qui portata avanti dal governo, che ha imposto la fiducia sui primi tre articoli del progetto di legge, è stata legittima? (Presente articolo)
2) I meccanismi introdotti (in particolare la previsione di un solo voto per uninominale e proporzionale, le pluri-candidature e i listini bloccati), rispettano le indicazioni fornite dalla Consulta nelle sentenze 1/2014 e 35/2017 sulle precedenti normative elettorali? (Seconda parte)
3) Il nuovo sistema garantisce le due finalità proprie di una legge elettorale, cioè assicurare una rappresentanza determinata dal consenso ottenuto e fornire i presupposti per la governabilità? (Terza parte)
Obiettivo della presente analisi in tre puntate è quello di fornire un quadro complessivo della normativa tentando di dare una risposta a queste tre domande. Oggi verranno valutati gli aspetti procedurali.
I dubbi sulle procedure
Le principali accuse mosse dalle opposizioni riguardano il metodo con cui è stato approvato alla Camera il progetto, con la fiducia posta sui primi tre articoli per accorciare i tempi ed evitare altre spiacevoli sorprese come già accaduto a giugno in occasione dell’emendamento Biancofiore. In effetti l’applicazione della fiducia decisa dal Pd con il consenso di Ap, Forza Italia e Lega, se da una parte trova la sua legittimità nei precedenti della “Legge truffa” e dell’Italicum, dall’altra non elimina le perplessità sulla possibilità di utilizzare un istituto di tal genere per l’approvazione di una legge elettorale. La discussione tra giornalisti e costituzionalisti offre alcuni spunti su cui riflettere.
Su questo frangente è puntuale l’analisi svolta dall’associazione “Libertà e giustizia” presieduta da Tomaso Montanari. In particolare l’illiceità della procedura posta in essere viene riscontrata nel combinato disposto dell’articolo 116, c.4 del Regolamento della Camera, che vieta la questione di fiducia sulle proposte per cui è previsto il voto segreto, insieme con l’articolo 49, c.1, che consente, anche se solo su richiesta, il voto segreto per le leggi elettorali. La tesi è rafforzata dalle disposizioni dell’articolo 72 della Costituzione, che prescrivono la procedura ordinaria di approvazione, tra l’altro, per i ddl in materia elettorale.
A questa lettura si oppone Eugenio Scalfari, il quale fa notare come il voto finale sul progetto di legge sia comunque a scrutinio segreto, principio che garantirebbe la libertà di voto dei parlamentari.

Al di là delle considerazioni giuridiche, ricordando comunque che si tratta di interna corporis la cui competenza è affidata alla Presidente della Camera, è chiaro come su argomenti sensibili come questo sarebbe preferibile ottenere il maggior consenso possibile sia sul merito che sul metodo. Rispetto al primo punto è stato trovato l’accordo tra Pd, Ap, Forza Italia e Lega, coinvolgendo dunque partiti di maggioranza e opposizione, pur tagliando fuori il M5S una delle principali forze politiche in Parlamento. Anche durante la votazione a scrutinio segreto l’intesa ha retto e i franchi tiratori non sono riusciti ad impedire una prima approvazione alla Camera.
Diversamente, come è stato possibile osservare, la decisione di porre la fiducia ha sollevato critiche sia destra che a sinistra, anche per la prossimità delle elezioni politiche che probabilmente saranno indette per la prossima primavera.
In questo caso non è stato rispettato il “Codice di buona condotta in materia elettorale” adottato dal Consiglio d’Europa nel 2003, che consigliava di non modificare la legislazione elettorale a meno di un anno dallo scrutinio. In alternativa, con l’approvazione della nuova legge, veniva suggerita la possibilità di applicare la vecchia normativa in occasione di successive elezioni. Tali misure miravano ad evitare atteggiamenti e logiche opportunistiche dei partiti alla fine del mandato governativo su una materia decisiva come quella elettorale.
Tuttavia, gli errori politici e i ragionamenti di parte hanno impedito di raggiungere un accordo in tempo utile, con il risultato di ritrovarci a sei mesi dalle elezioni con due leggi diverse per Camera e Senato, entrambe dichiarate parzialmente incostituzionali dalla Consulta, che, per giunta, prospetterebbero due maggioranze diverse senza dunque garantire una pur minima governabilità.
Da queste premesse è chiaro che le strade da seguire si riducono a tre, tutte con conseguenze spiacevoli: apportare modifiche tecniche alle normative delle due Camere per creare una certa omogeneità; tornare al modello tedesco il cui iter si era interrotto a giugno; andare avanti con il nuovo testo su cui si è formato un certo consenso.
Nel primo caso i partiti dovrebbero comunque trovare un accordo tutt’altro che scontato e l’esito non sarebbe sicuro; nel secondo caso il progetto è stato dichiarato morto, con Pd e M5S che si sono scambiati accuse sul suo fallimento; la terza ipotesi sta invece producendo le conseguenze che stiamo osservando in questi giorni.
Come evidenziato, ogni possibile soluzione presenta degli ostacoli resi ancora più complessi dal poco tempo rimasto a disposizione e dall’imminenza della discussione sulla legge di bilancio. Se risulta impossibile ad oggi rispettare i dettami del codice di condotta prima menzionato, si conviene che ciascuna delle precedenti vie abbia un forte valore politico e dipenda esclusivamente dalle priorità che la maggioranza si è imposta. È chiaro dunque che su di esse non sia possibile una valutazione oggettiva e priva di preconcetti ideologici. Si può soltanto avere un’opinione personale che però avrà anch’essa una natura politica contingente.

Diversamente, per quanto riguarda l’imposizione della fiducia, se è solo possibile ma non certa la sua illegittimità, si tratta comunque di una decisione border line che, oltre a non permettere una normale dialettica a livello parlamentare, crea un importante precedente. D’altra parte è anche vero che senza la fiducia sarebbe difficile approvare il provvedimento entro la fine dell’anno, termine ultimo prima dell’inizio della campagna elettorale. Ora la domanda è: può un insieme di forze politiche far prevalere la necessità di avere una legge elettorale, bella o brutta che sia, rispetto all’osservanza di quelle regole non scritte fondamentali per conservare un rapporto corretto tra i partiti di una democrazia parlamentare?
È questo il quesito che bisogna porsi nel valutare l’accelerazione decisa dal governo nelle settimane precedenti. Si potrebbe allora affermare che nel breve periodo sarebbe vantaggioso forzare la mano per avere al più presto un voto definitivo prima che vengano sciolte le Camere. È chiaro però che una condotta di tal genere produce un clima teso e un pericoloso precedente.
Premettendo il fatto che l’assenza di una legislazione omogenea andava affrontata e risolta in maniera più responsabile da tutte le forze politiche subito dopo la sentenza della Consulta del gennaio di quest’anno, nella situazione presente è necessario rispettare la decisione della Presidente della Camera, giudice unico sull’osservanza del Regolamento interno, come stabilito dall’articolo 8 dello stesso testo.
Tuttavia, permangono i dubbi sulla legittimità della scelta ed è comprensibile la protesta a cui si è assistito in questi giorni. Si spera che una situazione di tal genere non si presenti anche in futuro e che i partiti si dimostreranno responsabili e consapevoli dei pericoli che derivano dai loro atteggiamenti.
Continua…
Credits copertina:
“Renzi alla seduta notturna della Camera dei Deputati” by Palazzochigi
Founder e Creator di Polinside. Appassionato, affamato di politica e di tutto ciò che ricorda la Prima Repubblica.
Master in “Relazioni istituzionali, Lobby e Corporate Communication” alla Luiss Business School, mi occupo di corporate communication in Community.
Nel tempo libero pratico Crossfit, cucino l’Amatriciana e sogno il compromesso storico.