Continua il viaggio all’interno dell’area politica di sinistra. Dopo aver analizzato il rapporto tra Pd e Mdp ci si concentra sulle altre forze che potrebbero far parte di una coalizione con i democratici.
La sinistra europeista e il centro
Nella possibile coalizione di sinistra trovano spazio, oltre all’area più radicale, altre forze moderate di ispirazione europeista con cui la prospettiva di un’alleanza col Pd non è poi così lontana. Stiamo parlando di quelle compagini riunite qualche settimana fa a Roma per il convegno “Stati Uniti d’Europa. Una sfida radicale”. Oltre ai Radicali, organizzatori dell’evento, si sono ritrovati importanti personalità del mondo governativo passato e presente: da Calenda a Della Vedova, da Enrico Letta a Gozi. A questi vanno aggiunti esponenti della sinistra progressista (Giuliano Pisapia) e figure storiche come Emma Bonino.
Il convegno, inserito all’interno della convention di tre giorni dedicata al prossimo programma politico dei Radicali, ha permesso il confronto tra quelle liste che da sole raccoglierebbero un consenso inferiore al 3%, ma che insieme possono rappresentare un discreto bacino elettorale anche per quanto riguarda la fama dei possibili candidati.
In primis Campo Progressista di Pisapia che, dopo aver “flirtato” a lungo con Mdp, nelle ultime settimane sembra esser più vicino a formare un asse col Pd. L’ex sindaco di Milano non ha però ancora sciolto le riserve per valutare tutti i pro e i contro di una decisione così complessa.
Da una parte è stato il protagonista della manifestazione a luglio insieme a Bersani, Fassina e Civati in cui era stata lanciata la piattaforma “Insieme”, nata con l’obiettivo di creare le basi per una coalizione di sinistra.
Dall’altra negli ultimi mesi si sono susseguite numerose incomprensioni per le scelte di Mdp che, in qualche modo, hanno deviato dall’obiettivo iniziale di “evitare di consegnare il paese alle destre”, slogan della giornata del 2 luglio. I fuoriusciti dem hanno mantenuto un atteggiamento che sicuramente non ha favorito il dialogo con il loro ex partito, in ciò aiutati dallo stesso Renzi che non perde occasione per punzecchiarli e sfidarli.
Pisapia sa che il suo è un elettorato moderato che probabilmente non vedrebbe di buon occhio una rottura definitiva con la compagine ora al governo. Allo stesso tempo l’ex sindaco di Milano vuole evitare di essere inglobato nel Pd dissipando il lavoro di federatore svolto finora.
È proprio partendo da queste considerazioni che deve essere letto il colloquio tra Grasso e Pisapia che si è avuto nei giorni precedenti e che sembra aver riavvicinato il leader degli “arancioni” con i movimenti a sinistra.
A seguito della sconfitta in Sicilia il panorama potrebbe essere parzialmente mutato, con Orlando e Cuperlo che spingono all’unità, e con Renzi che sembrerebbe disposto a mettere in discussione la sua leadership (anche se risulta difficile un suo passo indietro, visto il consenso interno).
Al di là delle battaglie su chi dovrà assumere la guida, il discorso, come si vedrà a breve, sembra essere più ampio e riguardare il concetto stesso di politiche che si vogliono attuare per risollevare il paese.
Capiremo di più nelle prossime due settimane, periodo in cui si svolgeranno le convention di Campo Progressista, Pd, Mdp e Sinistra Italiana. Un momento decisivo, dopo il quale sarà più chiara la strada che le forze in campo intendono seguire in vista delle politiche.
Oltre alla piattaforma di Pisapia, al convegno dei Radicali erano presenti sia i Verdi di Bonelli, sia la nuova lista “Forza Europa” di Benedetto Della Vedova, che potrebbe aspirare ad un ruolo nella prossima coalizione di sinistra.
Oggi questa compagine, guardata con favore anche dal ministro Calenda, potrebbe convogliare diverse personalità di raccordo tra il Pd e le piattaforme sensibili a questioni etiche come i Radicali e gli stessi Verdi.
Il passato di Della Vedova, con un trascorso anche nel PdL, lo pone vicino a quelle forze liberali una volta alleate con Berlusconi o situate nell’area di centrodestra che ora sembrano essere orientate a presentarsi nella coalizione di sinistra.

Ci si riferisce ad Alternativa Popolare (ex Ncd) di Alfano e a Scelta Civica di Zanetti. Le due componenti liberal – cattoliche rappresentano la sezione più “artificiale” della possibile coalizione, e non a caso numerosi esponenti di Ap hanno fatto la spola e cambiato casacca e maggioranza in numerose occasioni. L’unico veramente convinto è Alfano che, con le importanti cariche di cui ha goduto nei governi della presente e passata legislatura, è stato l’alleato più fedele del Pd fin dal 2013.
Ciononostante AP, che i sondaggi danno a circa il 2%, non potrà più contare su una pattuglia parlamentare nutrita nei prossimi cinque anni e le numerose defezioni interne – con molti membri passati a Forza Italia e altrettanti non convinti dalla scelta di rimanere nell’area di centrosinistra – non ne rafforzano la posizione. Ma nel nuovo proporzionale qualunque lista che superi l’1% può essere decisiva e dunque, a scapito della scarsa affinità ideologica, anche AP sarà probabilmente nella prossima coalizione di sinistra a marca Pd.
Come recuperare il consenso
La via per risollevare le sorti di un’intera area politica è quella di una sinistra sociale che recuperi terreno e consenso soprattutto nelle periferie. È proprio questa la nuova sfida, tornare ad una politica attiva sul territorio, non solo con comizi e dibattiti ideologici, ma soprattutto con azioni concrete e di sostegno alla popolazione in difficoltà.
Movimenti come Casapound e Forza Nuova hanno sfruttato questa situazione e sono state abili a penetrare nelle realtà più disagiate coinvolgendo e supportando, con azioni legali e non, quei cittadini che per anni non hanno ricevuto alcun segnale dallo Stato. È il caso delle passeggiate della sicurezza al Tiburtino III, per la chiusura del centro d’accoglienza, o della lotta per l’assegnazione delle case popolari a Magliana e in altri quartieri difficili.
In queste situazioni la destra sociale si è dimostrata più attenta alle necessità dei cittadini rispetto a quanto è stato fatto in passato. Casapound, per esempio, organizza periodicamente spese gratuite per le famiglie indigenti in cui distribuisce alimenti e beni di prima necessità, anche se soltanto a famiglie rigorosamente italiane .Così facendo ha guadagnato un discreto consenso risolvendo concretamente numerosi problemi di vita quotidiana. Non è casuale il 9% raccolto da Casapound alle elezioni municipali di Ostia, ottenuto grazie all’alta quota di astenuti ma soprattutto grazie ad un forte radicamento nel territorio, frutto del lavoro degli ultimi mesi.
La nuova sinistra, se non vorrà essere soltanto un fuoco di paglia, dovrà impegnarsi in un’azione capillare di questo genere, distinguendosi dall’estremismo di destra di matrice discriminatoria e fascista che sfrutta il disagio sociale per alimentare l’odio verso gli immigrati anche quando questi ultimi rispettano la legalità. Come è successo nella vicenda del quartiere San Basilio a Roma, dove una famiglia di marocchini è stata costretta a rinunciare all’alloggio a cui aveva diritto per le proteste dei residenti italiani abusivi.
È questo il percorso di lungo periodo che deve seguire una vera sinistra, poiché è l’unico modo per recuperare credibilità e consenso.
La necessaria svolta a sinistra
Da un quadro del genere è facile intuire come il futuro a breve termine della sinistra italiana sia pieno di incognite e difficoltà – di cui si è avuta una prima avvisaglia in Sicilia – e che probabilmente si concretizzeranno a partire dalle prossime elezioni politiche. Se, come sembra, la sinistra si presenterà divisa, il Pd sarà surclassato da una destra unita e forse anche dal M5S.
È vero che con il nuovo sistema a prevalenza proporzionale arrivare primi potrebbe non bastare per avere una maggioranza in Parlamento. Ed è anche vero che il prossimo Presidente del Consiglio potrebbe non essere il leader del primo partito della coalizione, ma sarebbe scelto a seguito di una trattativa tra le forze della compagine vincente (ad esclusione del M5S che non farà alleanze), o ad opera di una decisione autonoma del Presidente della Repubblica (nel caso in cui non fosse trovato un accordo).
Se si realizzasse un successo della destra o del M5S le due anime della sinistra potrebbero dunque ritrovarsi nuovamente unite nel fronte dell’opposizione in Parlamento. Si sa che fare opposizione è sempre più facile che stare al governo. In questo modo la sconfitta potrebbe favorire una certa riconciliazione ed un ripensamento sugli errori commessi da una parte e dall’altra negli ultimi anni.
Diversamente, se il Pd dovesse ottenere un risultato al di sopra delle attese ma insufficiente per costituire una maggioranza, dovrebbe immediatamente cercare l’accordo tra quelle forze progressiste che si dichiarano alternative al progetto democratico. In questo caso la responsabilità delle parti in gioco sarebbe maggiore, ma si presenterebbe una sfida a cui le forze radicali non potrebbero sottrarsi.
È chiaro che i calcoli pre-elettorali assumono una valenza relativa e soltanto le successive vicende potranno svelare quale piega prenderanno gli eventi.
Ciò che però è importante sottolineare è che la distanza tra le forze progressiste più e meno moderate è aumentata negli ultimi anni e non solo in Italia. Di fronte ai fenomeni populisti e sovranisti di destra abbiamo assistito ad un successo di idee più radicali anche a sinistra, come testimoniano i casi Sanders negli Usa e Corbyn nel Regno Unito.
Nel Bel Paese la situazione è diversa e ciò deriva soprattutto dalla svolta centrista del leader del Pd che ad oggi ha una maggioranza schiacciante anche nell’assemblea nazionale del partito. È necessario prendere atto di questa situazione e portare avanti un percorso di lungo periodo che non potrà prescindere da un nuovo e serio impegno per quelle classi subalterne di cui si è parlato in precedenza.
La sinistra deve dunque decidere se continuare a far presa solo su quell’elettorato medio borghese che da sempre ne è parte integrante e deve continuare ad esserlo, o ritornare ad occuparsi anche delle difficoltà di altre aree del paese senza lasciare il monopolio ad altre forze esterne.
Le due anime devono cercare di convivere insieme, consapevoli del fatto che ognuna è indispensabile per l’altra, ma seguendo un percorso comune. Solo in questo modo potranno recuperare la credibilità e il consenso, tornando a parlare di problemi reali e non solo di lotte personali tra le leadership di partito e di coalizione di sinistra.
Founder e Creator di Polinside. Appassionato, affamato di politica e di tutto ciò che ricorda la Prima Repubblica.
Master in “Relazioni istituzionali, Lobby e Corporate Communication” alla Luiss Business School, mi occupo di corporate communication in Community.
Nel tempo libero pratico Crossfit, cucino l’Amatriciana e sogno il compromesso storico.