De-istituzionalizzazione

«In Europa è in atto un processo di de-istituzionalizzazione». Intervista a Vincenzo Emanuele

A colloquio con il professore di “Italian Politics System” della Luiss, che indica le prospettive future e svela il processo di de-istituzionalizzazione in atto nell’Unione Europea. 

– Recentemente allo “European Consortium for Political research” di Amburgo, ti sei occupato dei “Patterns of Party System De-Institutionalization” nell’Europa Occidentale. Cosa hai potuto osservare?

Insieme al professor Alessandro Chiaramonte, abbiamo integrato l’arena elettorale con quella parlamentare e quella governativa. Si parla di de-istituzionalizzazione quando le relazioni tra i partiti sono instabili e imprevedibili nel tempo perché non c’è un pattern consolidato alle spalle. Ciò accade quando si verifica un’elevata volatilità elettorale, come accaduto negli ultimi anni anche in Italia. Inoltre la formula di Governo Lega-5 Stelle non ha precedenti e dunque è difficile valutare l’evolversi delle relazioni tra di loro. L’Italia è quindi un chiaro caso di de-istituzionalizzazione.

– Esiste dunque un pericolo per la democrazia e le istituzioni europee?

Se osserviamo i dati a disposizione il pericolo esiste. Nel periodo tra le due guerre mondiali e anche nella Germania di Weimar la volatilità era inferiore a quella di oggi. Parallelamente i dati di Eurobarometro indicano anche una crisi della fiducia nei partiti. Nell’immaginario collettivo l’idea della democrazia come unico sistema immaginabile di governo sta perdendo posizioni. Inoltre la II Guerra Mondiale è sempre più lontana e sempre meno persone possono testimoniare il clima di quei giorni. Tuttavia, ciò non significa che i regimi autoritari siano alle porte.

De-istituzionalizzazione
Il professor Vincenzo Emanuele

– Si è veramente aperta una nuova fase dei populismi o questo trend non avrà una lunga durata?

È difficile fare delle previsioni perché l’opinione pubblica mangia e digerisce con facilità i leader. Di Renzi si pensava potesse governare per un ventennio e poi è stato spazzato via in poco tempo.

Come ha evidenziato Emiliano Fittipaldi su L’Espresso della scorsa settimana, la strategia di comunicazione della Lega, basata sulla centralità del solo Salvini, è nel lungo periodo più fragile e pericolosa rispetto a quella dei 5 Stelle. Un avvenimento che intacchi la credibilità del leader avrebbe conseguenze negative su tutto il partito.

Diversamente, la strategia di comunicazione del M5S sostiene più figure e non il solo Di Maio. La presenza capillare sul territorio potrebbe inoltre renderli più stabili.

Per quanto riguarda la struttura di governo nel lungo periodo, il discorso è diverso: dal 1994 ad oggi tutti gli esecutivi sono usciti sconfitti alle elezioni successive. Lo stesso potrebbe accadere in questo caso.

– Nel tuo studio sulla volatilità elettorale e nel tuo libro “Cleavages, Institutions and Competition” analizzi i dati di tutte le elezioni dei principali paesi europei a seguito della seconda guerra mondiale. È possibile individuare un trend politico generale?

In Europa fino alle fine degli anni ’70 c’è stata forte stabilità con gli stessi partiti, già presenti nel dopoguerra, che presentavano un andamento elettorale costante.

Dopo questo periodo ci si allontana progressivamente dalla “Freezing hypotesis” (teoria per cui il voto dei partiti era congelato), ma la volatilità elettorale rimane piuttosto stabile.

Dal 2008 però le cose cambiano. Grecia, Spagna, Germania e Italia hanno visto nuovi partiti di rottura e un forte aumento della volatilità. Un trend che si verifica ancora oggi, con un sistema politico che non sembra trovare la sua stabilità.

– In base ai dati da te raccolti si può vedere come la volatilità elettorale aumenti progressivamente nei periodi compresi tra la I Repubblica e i giorni nostri. Il trend continuerà anche in futuro?

Nelle ultime elezioni consecutive del 2008 e del 2013 la volatilità elettorale ha superato il 25% sull’indice di Pedersen (che misura il cambiamento di voto dei partiti tra un’elezione e l’altra). Un evento mai verificatosi in Europa ad esclusione delle tornate del 2013 e del 2016 in Islanda.

L’Italia è il paese che insieme all’Olanda e alla Francia presenta i dati più alti.

Ciò aggrava la situazione della de-istituzionalizzazione e non vedo come questo trend possa fermarsi nel futuro. Al di là della nascita dei nuovi partiti gli elettori cambiano idea sempre più spesso, anche in presenza di un sistema stabile di partiti, cosa impensabile fino a qualche decennio fa. La causa principale potrebbe essere la perdita di forza organizzativa dei partiti che in passato gli permetteva di resistere anche in periodi di crisi. Inoltre, le opinioni individuali sono oggi molto più flessibili al cambiamento perché non sostenute dall’apparato ideologico presente nei decenni precedenti.

De-istituzionalizzazione
L’aumento della volatilità elettorale in Italia tra la I Repubblica e i giorni nostri. Grafico elaborato dai dati presenti in: Emanuele, V. (2015), Dataset of Electoral Volatility and its internal components in Western Europe (1945-2015), Rome: Italian Center for Electoral Studies.

– Ritieni possibile che la volatilità elettorale sia influenzata dal modo con cui l’individuo forma la propria identità politica? L’utilizzo massiccio dei social media può influire sull’insoddisfazione verso la politica e dunque aumentare la volatilità elettorale?

L’uso massiccio dei social media influenza la volatilità, ma è una diretta conseguenza dell’abbandono delle ideologie. Le persone si informano meno sui giornali e sono portati a formare la propria opinione leggendo di sfuggita un titolo su Facebook.

– Recentemente ti sei occupato di raccogliere dati relativi alla nascita di nuovi partiti nelle democrazie europee. In una speciale classifica l’Italia risulta il terzo paese in cui si è registrato il numero maggiore di nuove formazioni politiche dopo Francia e Islanda (soprattutto dal 1994 ad oggi). Ci puoi spiegare perché?

I tre paesi presentano situazioni differenti.

L’Islanda ha subìto una crisi economica severissima negli ultimi anni, per cui il sistema politico è cambiato completamente con le elezioni del 2013, che hanno visto la nascita di numerosi partiti di rottura.

Diversamente, il caso francese deve essere valutato come parte di un processo di lungo periodo. Qui sono sempre esistiti partiti politici molto deboli, con un forte centro a Parigi e per il resto notabili sparsi sul territorio. Sul lato del centrodestra si è osservato un continuo rinnovamento delle sigle. C’è una debolezza degli apparati che risale agli anni ’60. Si può parlare di mancanza di strutturazione delle élites politiche.

L’Italia è un caso particolare. Il sistema istituzionale ha sempre potuto contare su forti partiti di massa. Con Tangentopoli viene meno la fiducia nei partiti e da quel momento l’Italia entra in una fase di grande cambiamento da cui di fatto non si è mai ripresa. Anche nella II Repubblica si è potuta osservare una certa prevedibilità dovuta all’alternanza sinistra-destra, ma all’interno delle coalizioni i partiti cambiavano rendendo comunque la situazione precaria.

– In passato, in uno studio con Nicola Maggini e Bruno Marino, ti sei occupato di come il contesto nazionale abbia influenzato il risultato dei partiti euroscettici nelle elezioni europee del 2014. A poco meno di un anno dalla prossima tornata elettorale che potrebbe vedere i movimenti nazionalisti prevalere in tutto il continente cosa ti aspetti che accada?

I partiti euroscettici aumenteranno probabilmente i voti grazie al clima anti-Europa ad oggi in atto. Il successo elettorale non si traduce sempre in un controllo del Parlamento. Popolari, socialisti e liberali continueranno a tirare le redini delle istituzioni (Parlamento e Commissione). Se a livello di opinione pubblica i partiti anti-establishment continueranno ad avere un ruolo determinante,  all’interno delle istituzioni non potranno avere lo stesso impatto.

Quando raggiungeranno la maggioranza nel Parlamento Europeo allora la struttura dell’Unione sarà in pericolo. Ma non penso sia una prospettiva prossima a realizzarsi.

Credits copertina: Banksy does Brexit (detail)  by Dunk

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.