Lo spirito con cui andare a votare al referendum costituzionale non deve essere condizionato dalla paura di essere “etichettati”
Tra le migliaia di guide e manifesti sul referendum che in queste settimane hanno invaso i feed dei profili social di appassionati di politica e non, Polinside tenterà di fare qualcosa di diverso. Non si limiterà a fornire informazioni di servizio su orari e metodi di voto o riportare semplicemente le tesi sostenute dai due schieramenti.
In questo articolo non troverete inoltre nessun manifesto per il Sì o per il No. Ovviamente chi scrive andrà a votare e nell’urna dovrà scegliere una fatidica casella su cui porre una X, ma non è importante sapere chi voterà cosa o quanti e quali costituzionalisti sono favorevoli o contrari.
A poco meno di una settimana dal voto, mi sembra utile selezionare alcune (non tutte) informazioni utili e suggerire lo spirito che dovrebbe spingere ognuno di noi a porre quella fatidica X sulla scheda elettorale. Il risultato, nel bene o nel male, può infatti cambiare la storia dell’organo elettivo del nostro Paese: il Parlamento.
Breve memo
– Il referendum riguarderà la modifica degli artt. 56, 57 e 59 della Costituzione. In particolare la legge costituzionale in discussione prevede la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e di quello dei senatori da 315 a 200 (in totale un terzo circa dei parlamentari) oltre ad indicare l’esplicito limite di nomina di 5 senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica durante il proprio mandato. Per il referendum in questione non è richiesto il quorum e il risultato finale dipenderà esclusivamente dalla maggioranza relativa dei voti che confermeranno o respingeranno la legge.

– La riforma costituzionale è stata votata in quattro letture (come vuole la Costituzione), da una maggioranza del 75% e del 78% dei votanti al Senato e del 73% e 97% alla Camera.
– Nonostante nell’ultima votazione alla Camera tutti i partiti (tranne LeU, + Europa e alcuni “frondisti” di altre formazioni) abbiano votato a favore della riduzione, il fronte dei Sì oggi non è così unito. Se escludiamo il Movimento 5 Stelle (principale fautore della riforma), oggi il Pd è spaccato (anche se la Direzione ha votato ufficialmente per un voto favorevole), mentre Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, anche se ufficialmente si dichiarano per il Sì, si sono concentrati sulla campagna elettorale per le regionali per non favorire troppo il Governo. È infatti convinzione comune che un esito positivo del referendum rafforzerebbe la maggioranza.
– Se vincessero i Sì, si avrà un risparmio tra i 60 e gli 80 milioni di euro l’anno complessivi, ma ogni parlamentare rappresenterebbe un numero maggiore di cittadini.
– Secondo i sostenitori del Sì, a seguito della riforma (che comunque entrerebbe in vigore soltanto a partire dalla prossima legislatura), i lavori parlamentari sarebbero più snelli e agevoli. A tal proposito viene ricordato il pensiero che espresse Luigi Einaudi durante i lavori della Costituente (qualche anno dopo sarebbe diventato Presidente della Repubblica): “Quanto più è grande il numero dei componenti un’Assemblea, tanto più essa diventa incapace ad attendere all’opera legislativa”.

– I fautori del No ritengono che invece la riforma ridurrebbe in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza di interi territori e aggraverebbe i problemi del bicameralismo perfetto, addossando sulle spalle di un minor numero di eletti i numerosi temi affrontati quotidianamente nelle Commissioni e in Aula.

Quindi?
Per andare a votare non basta la tessera elettorale. Serve essere informati (qui il link al blog dei costituzionalisti per il No e alla pagina Facebook del Comitato per il Sì), confrontarsi, ma decidere in autonomia e non aver paura di essere etichettati come populisti e attentatori della Costituzione o, al contrario, come disfattisti e sostenitori dell’èlite.
È proprio questo il pericolo più grande. Ad oggi chi vota Sì viene visto necessariamente come un grillino, un populista o come un seguace di Travaglio (nulla in contrario). Chi vota No è invece spesso bollato come un membro della “casta” che vuole difendere i privilegi di deputati e senatori.
Alt!
La democrazia non è in pericolo (in tanti altri Paesi sono in corso dibattiti per ridurre il numero dei parlamentari) e non si tratta di una guerra tra il Movimento 5 Stelle e il resto del mondo (da circa 40 anni si parla di una riforma del genere).


D’altra parte, la scelta referendaria non è sicuramente sufficiente a rivoluzionare un sistema politico perennemente in crisi d’identità o ad aumentare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, da anni ai minimi termini. Se la riforma passerà, sarà solo un primo passo di un percorso inevitabilmente più lungo che comprende una modifica dei regolamenti parlamentari e soprattutto una legge elettorale idonea a mantenere il giusto equilibrio tra i principi di rappresentatività e governabilità.
Insomma l’errore più grave che si può commettere (Renzi docet!) è quello di trasformare un voto sulla Costituzione in uno scontro esclusivamente politico, come spesso accaduto in Italia. L’unica domanda che dobbiamo porci (dopo aver considerato le tesi di entrambi gli schieramenti) è questa: la riduzione dei parlamentari potrà veramente giovare al funzionamento del sistema legislativo italiano e innescare un processo di riforme più ampio?
A voi la risposta.
Credits copertina: Foto di neo tam da Pixabay
Founder e Creator di Polinside. Appassionato, affamato di politica e di tutto ciò che ricorda la Prima Repubblica.
Master in “Relazioni istituzionali, Lobby e Corporate Communication” alla Luiss Business School, mi occupo di corporate communication in Community.
Nel tempo libero pratico Crossfit, cucino l’Amatriciana e sogno il compromesso storico.