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La Politica di Coesione al tempo degli open data: la programmazione 2007-2013 – Terza parte


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L’Italia ha investito per la propria Politica di Coesione circa 100 miliardi di euro nella precedente programmazione 2007-2013, e prevede di investirne 132 nell’attuale fino al 2020.

Con differenze sostanziali sia programmatiche sia finanziarie, dunque, l’Europa continua a investire nello sviluppo locale, nel tentativo di ridurre sensibilmente le disparità tra regioni e regioni all’interno degli stati membri. “Maggiore sviluppo regionale, maggiore coesione nazionale”, uno slogan, che nella sua apparente solidità nasconde numerose insidie, a partire dall’evidente disomogeneità tra aree interne ed esterne alla propria territorialità, con cui gli stati europei convivono da molto tempo prima che nascesse l’unione politica e monetaria.

L’Italia, se da una parte è l’emblema di questo modello di sviluppo a più velocità, con un nord trainante e un sud arrancante, è comunque in buona compagnia: Spagna e Portogallo manifestano profondi squilibri geografici, la stragrande maggioranza dei paesi dell’Est, soprattutto quelli di recente adesione (Bulgaria, Romania e Croazia) patiscono una condizione conclamata di sottosviluppo, ad eccezione della Polonia, che sta sperimentando la transizione di alcune aree verso gli standard medi europei.

Per giunta Francia e Germania devono confrontarsi con squilibri interni, certamente meno profondi e più localizzati. Questo quadro senz’altro legittima l’investimento di una corposa parte di budget europeo in interventi strutturali, per permettere a tutti i paesi di viaggiare alla stessa velocità.

Ma in che direzione e secondo quali criteri sono state investite le risorse europee in Italia? E con quali ricadute?

Per rispondere a queste domande è necessario fare un passo indietro alla vecchia programmazione, che si è conclusa formalmente il 31 dicembre 2015, termine ultimo per presentare le richieste di rimborso per spese sostenute da parte delle pubbliche amministrazioni.

 

Perché monitorare con gli open data?

Grazie ad OpenCoesione, l’iniziativa di open government sulle politiche di coesione in Italia lanciata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è facile costruire una mappatura dell’intervento sulla base di criteri di qualità (natura degli investimenti, settori) e quantità (numero di progetti finanziati).

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Home page del sito www.opencoesione.gov.it/

È ancor più interessante incrociare questi dati con la distribuzione geografica della spesa, e rileggere il tutto alla luce degli indicatori territoriali e tematici. Il quadro che ne esce fuori è il medesimo: dei 100 miliardi stimati a disposizione ne sono stati destinati circa 23 ai Trasporti, 13 alla Ricerca e Innovazione, 11 all’ ambiente, 9 all’occupazione, 8 all’istruzione e a seguire 6 al turismo e cultura e all’ inclusione sociale.

Poco più della metà di queste risorse è stata prevista per la realizzazione di infrastrutture (52%), mentre la restante parte dell’investimento per l’acquisto di beni e servizi (28%) e per erogare incentivi alle imprese (13%). Il quadro che emerge dal monitoraggio dei finanziamenti, però, ci da ulteriori informazioni sullo stato della spesa: al termine della programmazione infatti risulta che solo il 60% (61 miliardi) di queste risorse sono andate “a pagamento”, ossia sono state effettivamente impiegate per finanziare progetti. Questo da una parte, delinea la prima grande criticità dell’attuazione della politica di coesione, dovuta all’incapacità da parte delle pubbliche amministrazioni di spendere tutte le risorse a loro disposizione.

Dall’altra ci dà la misura dell’investimento effettivo in sviluppo territoriale e ci permette di delineare i margini di scostamento tra la previsione di spesa e quella realmente sostenuta per natura e settore d’investimento.

Il quadro cambia nuovamente se prendiamo in considerazione le progettualità nate dall’erogazione dei finanziamenti: nei sette anni di programmazione sono stati finanziati circa 950 mila progetti per un numero di soggetti attuatori superiore alle 100 mila unità. Il 34 % dei progetti è stato implementato nell’ambito dell’inclusione sociale, a seguire il 28% nell’occupazione e il 24% nell’istruzione.

I dati rilevati ci dicono inoltre che la metà di questi progetti (477mila) si sono tradotti in contributi a persone, e un’altra buona parte in acquisto di beni e servizi (36%) e incentivi alle imprese (9 %). In questo senso, la maggior parte dei progetti sono stati implementati con poche risorse coinvolgendo molti soggetti attuatori in un’ottica di “finanziamento a pioggia”, mentre sono stati privilegiati pochi interlocutori per progetti di grandi dimensioni economiche, quali interventi infrastrutturali in determinati settori (trasporti e R&D).

La rilevazione su base regionale avvalora questo quadro: le regioni che ricevono più finanziamenti sono quelle del sud (Campania, Sicilia, Puglia, Calabria) dove vengono investite all’incirca il 70 % delle risorse in una minoranza di progetti; le regioni del centro-nord, invece, spendono complessivamente meno ma nella maggioranza dei progetti (solo 400mila in Lombardia).

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Fonte: rosadamato.eu

Oltre gli impatti – nuove frontiere per la coesione europea

Al netto delle criticità evidenziate da questo monitoraggio, su tutte l’inefficienza più o meno generalizzata delle pubbliche amministrazioni nell’ erogare i finanziamenti e l’ eccessiva frammentazione degli interventi e delle risorse, i risultati della politica di coesione sono sicuramente positivi.

I numeri confermano il significativo impatto soprattutto sullo sviluppo delle infrastrutture, con la costruzione e l’adeguamento di 1000 chilometri di ferrovie e 800 chilometri di reti di trasporto trans-europee, e sulla crescita occupazionale, con circa 60 mila posti di lavoro creati e 5 mila start-up d’impresa supportate.

Importanti progressi anche in altri settori vitali come quello ambientale, con l’investimento in energia rinnovabile e le ricadute in termini di accessibilità delle persone a impianti e servizi igienico-sanitari sostenibili. La politica di coesione ha inoltre generato effetti positivi sulla ricerca, supportando direttamente i progetti ad alto contenuto innovativo e rafforzando i collegamenti tra i centri di ricerca e le PMI, con l’intento di rendere quest’ultime più competitive sul mercato. Senza contare i passi in avanti sull’agenda digitale, con circa 2,5 milioni di persone in più che hanno potuto accedere alla banda larga.

Un bilancio positivo in termini di ricadute, da cui la nuova programmazione è ripartita nel 2014, con altre sfide e obiettivi comuni da raggiungere: a partire dall’inclusione sociale e dalla lotta alla povertà, due temi su cui si giocherà il futuro dell’Europa negli anni post-crisi.

In questo percorso, i decisori politici non potranno più prescindere dalle criticità del passato e da un’azione congiunta di tutti i soggetti coinvolti, responsabilizzando ancora di più le pubbliche amministrazioni il cui apporto è venuto a mancare fino a questo momento. Da ciò è nata la necessità dell’ accordo di partenariato con la Commissione Europea per una definizione ancora più partecipata delle strategie d’intervento.

Allo stesso modo, diventa essenziale incentivare tutte quelle iniziative d’innovazione di processi interni, quali il monitoraggio, che coinvolgono direttamente i beneficiari delle politiche. Una di queste esperienze particolarmente felici è quella di A Scuola di Open Coesione, un progetto di monitoraggio civico condotto all’interno delle scuole italiane.

 

Fonte copertina: @EU_opendata (Twitter)

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