La SPD tra conflitto e governo

Continua lo speciale sulla crisi della socialdemocrazia in Europa con uno sguardo sulla situazione in Germania, dove la Spd non riesce ad invertire il trend negativo che la accompagna ormai da più di dieci anni.

 

“Conflitto” è forse il termine che meglio rappresenta la situazione perenne in cui si trova la sinistra in Europa. Tuttavia, se per tutto il ‘900 con “conflitto” si definiva il rapporto tra proletari e capitalisti, oggi ad essere in contrasto sono le componenti interne dei partiti socialdemocratici. Questo status ha portato il Pd in Italia (clicca qui) e la Spd in Germania a raggiungere il loro minimo storico nelle elezioni dei mesi precedenti.

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Il calo dei consensi dell’Spd nelle precedenti elezioni politiche

Come si evince dal grafico, il partito operaio più vecchio del mondo negli ultimi 15 anni ha praticamente dimezzato i propri voti, passando dal 38,5% del 2002 al 20,5% dell’ultima tornata elettorale. Parallelamente è drasticamente calato anche il numero degli iscritti, da 700 mila a 443 mila.

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Il calo degli iscritti all’Spd dal 2002 ad oggi. Fonte: de.statista.com

La crisi di consenso della Spd, in realtà, può essere ricondotta alle difficoltà che tutta la sinistra europea (con qualche eccezione), sta vivendo ad ormai dieci anni dall’inizio della crisi economica. Tuttavia, si notano in Germania alcuni aspetti peculiari su cui è necessario soffermarsi.

 

L’eterna “Groko”

In primis la Spd è stato partito centrale negli ultimi governi di Grosse Koalition insieme alla Cdu di Angela Merkel. Al conflitto elettorale è puntualmente seguita la formazione di un governo di coalizione tra i due massimi partiti, con un evidente difficoltà per gli elettori di individuare differenze sostanziali tra i progetti politici. Nonostante ciò, la Cdu, seppur con difficoltà, è riuscita a tenere saldamente le redini della locomotiva tedesca, grazie alla scaltrezza e all’esperienza internazionale di Frau Merkel.

Una sorte diversa è invece toccata alla Spd, in crisi di consenso e di strategia, con Martin Schulz (eletto presidente con il 100% dei consensi del congresso Spd solo un anno fa) che, contrariamente a quanto dichiarato in campagna elettorale, ha accettato un nuovo accordo con la Cdu, dimettendosi successivamente da leader del partito.

Il programma di governo della “Groko” (English summaryGerman version) – che, tra l’altro, prevede investimenti a favore delle famiglie, digitalizzazione e un limite ai ricongiungimenti familiari dei migranti – è stato fonte di continue polemiche, soprattutto all’interno dell’Spd. Al di là di queste difficoltà, il 67% degli iscritti al partito, nel referendum tenutosi il 4 marzo, si è espresso a favore dell’accordo politico con Merkel, permettendo la nascita del nuovo governo.

Nonostante l’alta partecipazione (80% circa dei tesserati), e la maggioranza dei due terzi dei consensi, l’Spd rimane un partito diviso al suo interno tra varie correnti, più meno radicali. Particolarmente attiva è la componente giovanile degli Jusos, capeggiati dal battagliero Kevin Kühnert, contrario alla “Groko” e sensibile verso le tematiche sociali più scottanti: dai diritti per gli omosessuali al precariato giovanile. Forti delle loro 70 mila iscrizioni, gli Jusos hanno acquisito più visibilità grazie alla vivacità e al loro coraggio di prendere posizioni controcorrente.

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Kevin Kühnert ad un comizio contro la Grosse Koalition. Fonte: Sputnik

Andrea Nahles: la leader guerriera

I contrasti interni hanno comunque permesso alla Spd di ottenere importanti incarichi all’interno del nuovo governo, in primis il Ministero delle Finanze, con la figura di Olaf Scholz. Per quanto riguarda l’organizzazione interna, Andrea Nahles ha preso il posto di Martin Schulz alla guida del partito. È la prima donna della storia dei socialdemocratici ad assumere la massima carica.

Prima negli Jusos e poi nella Spd si è sempre contraddistinta per le sue battaglie in ambito sociale e previdenziale. Nell’ultima legislatura, come Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali, è riuscita a far approvare importanti riforme. Su tutte l’introduzione del salario minimo a 8,50 euro lordi, la pensione a 63 anni (con 45 anni di contributi), oltre alla possibilità per molte madri di veder riconosciuti due anni in più di contributi nel calcolo della pensione.

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La nuova leader dell’Spd Andrea Nahles. Fonte: TPI

Nahles si è comunque schierata per il governo con la Spd, ma la sua elezione potrebbe ridare nuova linfa ad un partito a cui i sondaggi attribuiscono una percentuale sempre più vicina a quella della formazione della destra radicale Alternative für Deutschland. Gli ultimi dati parlano di una Spd al 17% e di AfD ormai al 14%, quest’ultima stabilmente al terzo posto nelle preferenze di voto dei cittadini tedeschi. Il calo della Spd è evidente soprattutto in Sassonia, ex roccaforte rossa e ormai appannaggio di Afd, che alle ultime elezioni è risultato addirittura il primo partito grazie al 27% dei consensi, con i socialdemocratici sotto al 15%.

 

Le riforme Schröder e l’origine della discordia

Se il professor Jorg Senf collega questi risultati alle conseguenze di lungo periodo della fine ex DDR (e delle sue ripercussioni socio-economiche), ciò che è necessario sottolineare è come negli ultimi anni la Spd abbia progressivamente perso il suo ruolo di “Arbeitpartei” nel sentiment nazionale e in quello degli elettori del partito. In questo senso una delle cause principali ha un nome e un cognome: Gerhard Schröder.

L’ex leader dell’Spd, cancelliere dal 1998 al 2005, è stato il protagonista di politiche liberali e di lungo periodo, volte quindi all’aumento dell’offerta, grazie all’approvazione dell’ “Agenda 2010” e  alla rimodulazione del welfare, in particolare con il nuovo sistema “Hartz IV”.

Le misure più importanti riguardavano lo stimolo di politiche attive del lavoro e la diminuzione delle politiche di assistenza. In particolare l’assegno per i disoccupati fu ridotto da due a un anno, e il sistema “Hartz IV” (dal nome del direttore del personale Volkswagen che lo elaborò) unificò l’indennità di disoccupazione con il sussidio sociale, riducendo in sostanza i finanziamenti al welfare. Venne liberalizzato il mercato del lavoro con la proliferazione dei “minijob” scarsamente retribuiti. Un sistema in cui chi perdeva l’impiego dipendeva totalmente dall’Agentur für Arbeit (agenzia per il lavoro), dovendo accettare qualsiasi tipo di impiego, anche scarsamente retribuito ed estraneo alle proprie competenze, pur di non perdere il sussidio.

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Lex leader dellSpd e cancelliere tedesco Gerhard Schröder. Fonte: TopNews

I risultati di questa politica sono ancora controversi. Se il tasso di disoccupazione è in costante diminuzione dal 2005, e il reddito pro-capite in continua crescita, d’altra parte la Germania è anche uno dei paesi con la più alta percentuale di lavoratori a basso salario (22% ca. secondo gli ultimi dati del 2014).

Gli effetti dal punto di vista economico possono quindi essere diversamente interpretati. Tuttavia, l’Agenda 2010 ha sicuramente prodotto contrasti e divisioni nella sinistra tedesca. Il rifiuto delle politiche neoliberiste ha condotto nel 2005 alcuni esponenti dell’Spd, tra cui Oskar Lafontaine, a fondare il WASG (Lavoro e Giustizia Sociale – L’Alternativa Elettorale), confluito due anni dopo nella Die Linke, che ancora oggi può contare su un consenso del 10%.

Se il “New Labour” di Blair fu fonte di successi e unità nella sinistra britannica, non si può affermare lo stesso per quanto riguarda le riforme di Schröder che rappresentano un punto di svolta in negativo per quanto riguarda il sostegno della base.

La situazione, ad oggi, ripresenta spinte contrastanti all’interno della Spd, un partito ancora in bilico tra il sostegno a politiche governative responsabili ma poco “sociali”, e il recupero di quella forza combattiva e attenta alle disuguaglianze sociali che ne ha contraddistinto la storia passata.

A 200 anni dalla nascita di Marx, (l’ormai) ex partito degli operai tedeschi deve decidere quale strada intraprendere, consapevole del suo ruolo storico e culturale che ha sempre svolto nella ricostruzione della Repubblica Federale di Germania.

Copertina: Berliner Zeitung, Il Manifesto

 

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